La collina

Il romanzo di Assaf Gavron, la vita di una comunità di coloni israeliani in Palestina, la storia vista con la prospettiva di una realtà sempre più grave

di Christian Elia

Due fratelli, un mondo intero. Assaf Gavron è uno scrittore israeliano che, nei suoi romanzi, sa giocare bene con l’affilato strumento della provocazione. E da quelli come lui, 47enne intellettuale della Tel Aviv colta e cosmopolita, ci si aspetterebbe una condanna senza se e senza ma del fenomeno delle colonie illegali.

Invece Gavron, nel romanzo La collina, edito in Italia da Giuntina, compie un’operazione di quelle che in Israele ti condannano a essere comunque un bersaglio del movimento dei coloni, ma riuscendo anche a far infuriare la sinistra. Perché racconta i coloni dal punto di vista umano, muovendosi come un antropologo.

Riuscendo nell’operazione narrativa di far emergere, se possibile, ancora di più l’assurdo sistema – paese in Israele che strumentalizza e usa – a seconda delle convenienze politiche, interne ed esterne – la vita di queste persone, la loro visione messianica, senza compromessi, violenta e aggressiva. Per un’idea delle violenze che ogni giorno i coloni infliggono ai palestinesi, basta consultare i dati dell’ong israeliana B’Tselem.

Ed ecco che le vite dei fratelli Roni e Gabi diventa uno specchio della società israeliana attuale, tra religione e business, tra odio e militarizzazione, sempre in bilico tra la peggior teocrazia immaginabile e la moderna democrazia capitalista.

Come nel precedente romanzo, dove era la psicologia di un attentatore suicida palestinese ad affascinarlo, Gavron si immerge totalmente (ha anche passato del tempo in un avamposto illegale), ne vuole cogliere il sentire profondo.

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Dal 1967 ad oggi, in cinquanta anni di occupazione, il movimento dei coloni è cresciuto come il mostro delle favole. Andare oltre la Linea Verde, quella che per l’Onu sanciva la divisione di Israele e Palestina, è stato per questi fanatici religiosi una missione, che i governi israeliani e l’esercito, sempre in bilico tra sgomberi e protezione, hanno utilizzato per rendere di fatto impossibile la nascita di uno stato di Palestina.

Il furto della terra e delle risorse idriche è sempre stato l’obiettivo strategico. I politici sono i mandanti, i coloni sono gli ‘utili idioti’. Non sempre però, nel senso che Gavron è bravo nel descrivere anche l’opportunismo che si cela dietro molti di loro. Perché in fondo avere una casa senza pagare, attivare un’azienda agricola con i fondi della donazione di un miliardario ebreo Usa, conviene a molti.
Raccontandoli, non li sostiene e non li condanna. Li mette a nudo. Ed è esperimento letterario più interessante.

Come ha dichiarato lo stesso Gavron in un’intervista a Repubblica: “Il movimento dei coloni non è il maggior ostacolo, ma il primo, il più diretto, alla soluzione due popoli due stati”.

Perché chiedere a uno scrittore di risolvere un problema che nessuno nella comunità internazionale e tantomeno nelle istituzioni israeliane ha il coraggio di affrontare? Uno scrittore deve vedere le persone che ci sono dietro le definizioni, i gruppi, gli stereotipi. E Gavron ci riesce per davvero.

Capitolo a parte, i palestinesi. Nel romanzo sono quasi assenti. Anche qui, nessuna empatia, nessun attacco a priori. La situazione è chiara, i coloni rubano la terra e pensano di farlo (nella maggior parte dei casi) in nome di Dio. I palestinesi tentano, sempre più soli, di difendersi.

Abbiamo lasciato al conflitto il monopolio della realtà. E questo non è colpa di Gavron, che pure verrà ritenuto troppo poco aggressivo verso i coloni e dagli altri troppo indulgente con i palestinesi. Ma invece è proprio nel cercare ostinatamente, senza tregua, di cogliere l’umanità degli attori dell’occupazione che si inizia a combatterla.