Truman, un vero amico è per sempre

Di Cesc Gay, con Ricardo Darìn, Javier Càmara, Dolores Fonzi, Eduard Fernàndez, Alex Brendemuhl. Premio Goya miglior film, migliore regia, migliore sceneggiatura originale, miglior attore protagonista e miglior attore non protagonista. Nelle sale.

di Irene Merli

Juliàn, attore argentino da anni a Madrid, ha poco tempo davanti a sé: il cancro che ha combattuto per un anno non si è arreso. E prima di andarsene vuole mettere ordine, regolare i sospesi e lasciare in buone mani Truman, il suo cane, un bullmastiff con cui vive da anni: senza di lui non sa più dormire.
Ad accompagnarlo per quattro giorni durante questa resa dei conti c’è Tomàs, l’amico carissimo trasferito a Montréal da anni che è venuto apposta dal Canada. Tomàs, dopo le prime, ovvie difficoltà, saprà stargli vicino davvero. E per quei pochi giorni sarà il complice, il confessore, il critico, persino il finanziatore: Julian è un attore, in banca non gli è rimasto quasi nulla e l’impresario del teatro pur tra parole di pietà non ha esitato a licenziarlo.

Insieme Juliàn e Tomàs andranno dall’oncologo, dai candidati per l’adozione di Truman, in una assurda e lussuosa agenzia di pompe funebri, si sbronzeranno e voleranno fino ad Amsterdam in giornata per abbracciare il figlio con cui Juliàn non ha molta confidenza. Ma in extremis l’attore scapestrato e gaudente ormai arreso e cambiato dalla malattia riesce a riannodare i legami con le persone care, a togliersi rospi dalla gola e anche a chiedere scusa a chi lo merita. E Tomàs, l’amico più serio “che non presenta mai il conto”, come dice lo stesso Juliàn, a sua volta riuscirà finalmente a piangere tra le braccia di Paula, la combattiva cugina dell’amico.

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“Truman”, si sarà capito, ci emozionerà molto. Ma senza mai ricorrere alle tattiche pietistiche di tanti “cancer movie” d’oltreoceano. Il film di Cesc Gay si rivela così toccante proprio perché è una cronaca realistica, sommessa e pudica, quanto lo può essere un’amicizia tra due uomini. Nei 108 minuti della pellicola non mancano però tocchi di humour anche nero, momenti di commedia che alleggeriscono con sapienza una vicenda tragica. “Se dovessi raccontarlo in due parole direi che è un film sulla despedida, sull’addio, qualcosa di estremamente difficile”, ha dichiarato il regista. “Non si vuole affrontare la morte di un amico, di una persona amata o di un familiare, e si accampano tutte le scuse possibili. Infatti Tomàs va a Madrid perché è sua moglie a insistere”.

Dirsi addio, invece, è importante per non avere rimorsi di quello che non si è detto o non si è fatto: dopo, ogni dialogo non è più possibile e non si può più rimediare nulla. “Truman” non è quindi solo un film su chi muore, ma su chi rimane, sulla capacità di esprimere sentimenti davanti a queste prove tanto umane.

Ed è anche un gran bel film, con una sceneggiatura che riesce a far capire la complessità dei rapporti umani nelle circostanze più estreme e un equilibrio di toni perfetto, ottenuto in maniera anche grazie alle grandi prove di Ricardo Darìn e Javier Càmara, tanto bravi quanto misurati, e capaci di farci credere di essere davvero amici da una vita. E Truman? Anche il bullmastiff è un ottimo attore, una presenza silenziosa, stanca, malinconica, che non indulge mai nei soliti cliché del cane al cinema ma darà un ultimo sguardo a Julian, girando appena il testone, difficile da descrivere per noi umani.