Il violento mestiere di scrivere

Una raccolta di reportage racconta il grande Rodolfo Walsh

di Christian Elia

Il racconto, la testimonianza, di un’epoca o di una piccola comunità, sono documenti. Bisogna approcciare le storie con rispetto e curiosità, pronti a non trovare le risposte attese, pronti a porre le domande non gradite.

Rodolfo Walsh, nell’arte del racconto, ha scritto pagine importanti. Oggi la casa editrice La Nuova Frontiera pubblica una selezione dei suoi più celebri reportage, a cura di Alessandro Leogrande, con la traduzione di Stefania Marinoni, con il titolo Il violento mestiere di scrivere.

Argentino, classe ’27, Walsh ha girato il suo paese e l’America Latina per tutta la sua (breve) vita. Perché la giunta militare al potere in Argentina lo farà sparire di notte, come decine di migliaia di persone, nei sanguinosi anni Settanta della dittatura.
Ma come accade ai dittatori, oggi Walsh è ancora un punto di riferimento, per il giornalismo narrativo per per l’impegno socio – politico nel suo tempo. Dei suoi aguzzini non resta che il disgusto.

Una scrittura che lascia poco alla scuola latinoamericana del racconto, per sposare una linea espressiva quasi british, che lascia il segno. Dagli abusi della polizia, passando per le stragi (viene pubblicato ad esempio il primo articolo che porterà poi al capolavoro di Walsh, il libro Operazione Massacro), tra un comizio di Allende, una conferenza stampa fiume di Fidel Castro e la morte di Che Guevara.

I grandi fatti, e i grandi nomi, della Storia, certo, ma senza perdere di vista le anime perse di uno sperduto lebbrosario, i conducenti e i passeggeri di una linea ferroviaria quasi epica, il naufragio di un veliero. Tutti con la stessa dignità, tutti con la stessa attenzione.
Il lavoro di Walsh è un modello, sia di racconto che di tecnica giornalistica. La sua capacità di tratteggiare le persone, e le loro storie, non soffre di rispetto per il potere. Anzi, in un periodo storico dove la denuncia era ancor più di oggi una forma di suicidio, il giornalista argentino non ha fatto un passo indietro. Mai.

Fino a preoccuparsi, sentendo la fine vicina, di scrivere una lettera alla Giunta militare. Il peso della storia, personale e collettiva, il prezzo della vita, dovevano acquistare un senso nella documentazione di una pagina nera che in tanti – con l’indifferenza – avevano aiutato a scrivere, in Argentina e nel mondo.

Svergognando l’aspetto più infame della dittatura: quello di usare la paura del comunismo per schiacciare la classe operaia, per farsi braccio armato dei padroni, per ammantare di ideologia una mera operazione di conservazione delle gerarchie economiche e sociali.
Il Walsh politico, però, non deve far perdere di vista il grande giornalista. Che in un lebbrosario è capace di trovare la metafora del mondo esterno, che si preoccupa di isolare i malati, ma che non può renderli diversi.

Come scrive Leogrande nell’introduzione, “il modello Walsh è importante tanto quanto il modello Wolfe o il modello Kapuscinski o il modello Aleksievic nel definire una delle possibili strade della letteratura non-fiction, anche nel XXI secolo”. Perché di raccontare il mondo, restando liberi, c’è sempre un drammatico bisogno.