Polonia: due ore di alienazione

Le tante facce della Varsavia che sabato è scesa in piazza,
tra slanci europeisti, chiusure verso i migranti e sussulti neofascisti

testo e foto di Sandro Bozzolo, da Varsavia

“Sabato 7 maggio Varsavia è tornata in Europa”. È questo il messaggio in arrivo dalla capitale polacca, in seguito alla marcia organizzata dalle opposizioni democratiche per lanciare un appello contro la deriva antieuropeista cavalcata dalla destra neoconservatrice del solito Kaczynski.

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Palloncini blu, bandierine a stelle gialle, i vessilli dei vari stati europei dipinti sulle guance dei passanti. Pochi riferimenti alla crisi dei migranti, a dire la verità. L’integrità etnica e religiosa a Varsavia continua ad essere un tabù e ogni tentativo di dialogo viene affondato sul nascere: “Siamo un Paese cattolico – dice un professore di etica politica che sfila con una bandierina dell’Europa in mano – e pertanto le moschee qui da noi non farebbero bene a nessuno”. In Polonia anche i lavori più umili vengono svolti rigorosamente dai polacchi, mentre alcuni studenti neri (europei a tutti gli effetti) incontrano difficoltà ad affittare una stanza.

Un modo come un altro per dire che da queste parti non c’è posto per nessuno. Africani e siriani farebbero bene a bussare altrove.

Anche per questo, sabato le manifestazioni e le parate in scena a Varsavia erano più di una. C’è stata la sfilata “politicizzata” e ci sono stati altri esperimenti aggregativi, di carattere più istituzionale, grazie all’imminente Festa dell’Europa caduta – nel dimenticatoio – proprio in questi giorni (lunedì 9 maggio n.dr.).

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Ma tra le viuzze del centro storico, nella piazza dell’obelisco, c’erano anche alcune centinaia di persone con bandiere biancorosse e vessilli neri al vento. Le componenti nazionaliste, organizzate come un insieme di “movimenti”, senza bandiere capofila ma riuniti sotto un unico slogan: “No all’Unione”.

I messaggi erano i più disparati. Stop all’immigrazione, insulti ad Angela Merkel, richiami alla “vera identità” polacca. Molti crocefissi e icone religiose, tenuti a mezz’aria insieme alle bandiere, come in una reminiscenza di un’antica crociata.

Dai microfoni dell’improvvisato pulpito – un camioncino nero – hanno fatto sentire la loro voce anche alcuni sacerdoti, mentre un gruppo di donne tentava di raggiungere le coscienze degli europeisti con cartelli recanti il “numero di aborti per minuto” nei Paesi dell’Unione Europea. Una giornalista di mezza età (anche lei con la fascia bicolore al braccio) strattonava con modi rudi uomini, donne e anziani per un’intervista di fronte alla telecamera. Sui volti dei presenti, curiosità, orgoglio, rabbia repressa, ma anche una generale alienazione. In Polonia come altrove, le parate neofasciste paiono ancora una volta un ricettacolo per il disagio, il tentativo di riscatto di un’umanità rimasta esclusa dal presente.

Tra il vento primaverile del pomeriggio, l’adunata si è conclusa con il canto all’unisono dell’inno nazionale. Dopodiché, le bandiere sono state arrotolate, su invito della polizia, per timore di scontri con gli altri manifestanti. Sugli scalini sotto l’obelisco, sono rimaste bottiglie di vodka vuote e alcune signore con il velo sui capelli. Brandivano a mezz’aria il crocifisso e la bandierina, l’immagine di una Polonia che è già cambiata e non lo sa.