Lo stato contro Fritz Bauer

Di Lars Kraume, con Burghart Klaussner, Ronald Zehrfeld, Sebastian Blomberg, Litt Stangenberg, Dani Levy, Cornelia Groschel, Gotz Schubert, Jorg Schuttauf. Premio del pubblico al Festival di Locarno 2015. Nelle sale.

di Irene Merli

“Oggi la Germania è fiera del suo miracolo economico e orgogliosa di esser la patria di Goethe e Beethoven. Ma la Germania è anche il paese di Hitler, Eichmann, e dei loro tanti seguaci e sostenitori. Cosi come ogni giornata comprende il giorno e la notte, anche la storia di ogni popolo ha le sue luci ed ombre. Credo che le generazioni più giovani in Germania siano pronte a conoscere la storia del loro paese e tutta la verità. Quella stessa verità con cui i loro genitori a volte fanno fatica a confrontarsi.” (Fritz Bauer, da un annuncio televisivo realizzato nel contesto del processo Eichmann)

Nel 1957, a 15 anni dalla fine della guerra che aveva lasciato il Paese ridotto in rovina, la Germania stava iniziando a raccogliere i frutti di una prodigiosa rinascita economica. L’opera di pacificazione voluta dal cancelliere Konrad Adenauer era però fondata su un processo di cancellazione della memoria storica dell’abisso.

Così una gran parte dei funzionari e dirigenti fortemente compromessi col regime nazista erano stati silenziosamente arruolati nei ranghi dell’amministrazione, della burocrazia e delle aziende private. A questa pratica operazione pochi si opposero, in nome della verità sui crimini nazisti e della rimozione dagli incarichi di chi più vi era stato compromesso. Una di queste figure fu quella del procuratore generale dell’Assia Fritz Bauer, ebreo, socialdemocratico e omosessuale, rientrato nel Germania dopo il suo esilio in Danimarca.

Per ottenere che la memoria non fosse sepolta in quattro e quattr’otto, e per scongiurare l’impunità concessa a troppi, Bauer decise di iniziare la sua guerra contro gli ex gerarchi nazisti rifugiati all’estero. Era convinto che attraverso la loro cattura e il processo in suolo tedesco si potesse metter la parola fine una volta per tutte al tragico periodo del regime di Hitler. E’ proprio su questa strenua lotta personale che si basa il racconto de “Lo Stato contro Fritz Bauer”, di Lars Kraume, italiano di nascita ma trasferitosi sin da bambino a Francoforte.


Ispirandosi a un libro scritto da Olivier Guez (co-sceneggiatore insieme al regista del film) Kraume sceglie uno stile asciutto e molto fedele a personaggi e situazioni per raccontare la battaglia combattuta da un uomo per il quale ristabilire la verità storica andava oltre lo sdegno personale per colorarsi di un profondo valore ideale, tra la continua ostilità a livello politico e giudiziario.

Nello scorrere del film vediamo infatti Bauer osteggiato da colleghi e superiori, governanti e funzionari statali proprio perché la sua inchiesta per riportare Adolf Eichmann in Germania avrebbe significato la fragorosa riapertura delle migliaia di scheletri nascosti negli armadi del tessuto statale tedesco negli anni Cinquanta.

Tra depistaggi, insabbiamenti, calunnie, minacce e comunicazioni controllate Bauer riesce ad avere dalla sua parte solo qualche amico fidato e il procuratore Angermann, un giovane magistrato idealista, emblema di una generazione cresciuta ignorando le nefandezze dei padri, ma che, mossa da da un senso di giustizia, incarna il bisogno di verità. E la loro sembra davvero un’impresa impossibile, di fronte a uno Stato fermamente determinato a dimenticare o censurare il più in fretta possibile quanto era accaduto sotto Hitler.

Il film di Kraume è insomma un’attenta analisi storica, precisa e circostanziata, che fa ben capire l’assurfo paradosso davanti al quale Bauer si era trovato. Dopo lunghe e capillari ricerche, il procuratore aveva scovato sicure tracce di Eichmann in Argentina, ma per evitare gli insormontabili ostacoli della giustizia tedesca (tanto per capirsi, l’Interpol dichiarava di non potersi occupare di delitti politici), per farlo catturare si era dovuto rivolgere al Mossad. E questo significava rischiare l’accusa di alto tradimento del proprio Paese.

Come sappiamo, il Mossad svolse il suo compito con efficacia, ma Bauer non ebbe la soddisfazione di vedere Eichmann processato in Germania, come gli israeliani gli avevano promesso.

Qualche anno dopo, finalmente, il primo processo contro le SS che dirigevano Auschwitz fu finalmente portato in aula a Francoforte, sempre grazie a Bauer e ai suoi procuratori. Ma questa è un’altra storia, quella raccontata da “Il labirinto del silenzio”.

Lars Kraume, quarantatrenne, appartiene a quella generazione di registi tedeschi che non intende archiviare il passato per quanto ciò possa risultare scomodo. Non per nulla in questa occasione siamo messi di fronte al desiderio della Germania del dopoguerra di dimenticare al più pretesto le responsabilità dello sterminio, in nome di un agognato benessere economico. Alla gente interessava molto di più avere un’automobile, la televisione e gli elettrodomestici che riconoscere le responsabilità dei tantissimi che in Hitler avevano creduto e poi si erano comodamente reinseriti nella società, nella totale impunità.

Quanto agli attori, alla solida prova di Burghart Klaussner, che presta un’enorme aderenza fisica e psicologica al personaggio di Bauer, si affianca quella altrettanto convincente di Ronald Zehrfeld nei panni del personaggio più scomodo e più sfaccettato.