So Contemporary/ Halil Atindere

Otto minuti e trenta secondi, a metà tra un film e un videoclip musicale: Wonderland è un video dell’artista militante turco Halil Altindere (Mardin, 1971) presentato nel 2013 in anteprima alla Biennale di Istanbul e poi al MoMA PS1 di New York.

di Giusi Affronti

Non succederà di fumare il narghilè sul cappello di un fungo in compagnia di un Bruco né di giocare a una partita di croquet contro la Regina di cuori; Sulukule, quartiere alla periferia di Istanbul, non è affatto un paese delle meraviglie.

Come un coniglio in fuga dal fascio di luce dei fanali di un’automobile, il video inizia con il primo piano di una sirena della polizia turca, Zabita, alle calcagne di un giovane ragazzo: un cappuccio di colore verde e una faccia da bambino in affanno tra le macerie di edifici fatiscenti e accumuli di materiale di risulta. Un’inquadratura a volo d’uccello di Sulukule, quartiere tradizionalmente abitato dalla comunità Rom, tradisce uno scenario apocalittico di polvere e devastazione: qui i confini della “gentrification” sono segnati dallo giganteggiare delle mura Teodosiane.

Halil Altindere racconta in maniera potente la rabbia e la frustrazione di una Spoon River della generazione perduta. Girato con la partecipazione della band Tahribad-i Isyan come un videoclip che strizza l’occhio all’hip hop, Wonderland documenta le azioni estreme di un gruppo di adolescenti spronati dal cantante rap Fuat Ergin a trasformare l’arte e la musica in inesplose bombe molotov della Resistenza per combattere il processo di distruzione della memoria storica di Sulukule.

 

89plus Marathon: Halil Altindere's Wonderland from Serpentine Galleries on Vimeo.

Le rivendicazioni di appartenenza alla propria etnia e al proprio territorio in contrapposizione alla promessa riqualificazione urbana mirata alla costruzione di edifici residenziali destinati alla Istanbul dai colletti bianchi, nelle scene finali, s’infiammano letteralmente in un escalation di violenza. L’insegna dell’impresa edile TOKI brucia tra le fiamme, come all’inferno. Mentre il ritornello, tra il rimbombare ipnotico dei breaks delle percussioni, nella traduzione inglese dei sottotitoli, dice: <<We pissed on the foundation of the newly built blocks | ‘cause I was pissed at TOKI | Sulukule coundn’t be destroyed with a dozer | and these efforts of yours will be useless […] Singing dancing shanty happy | you just stay at your Villa and thank God! | What’s comin’ up now I wonder what’s cookin’ up now without music?>>.

La musica, appunto. E il video d’artista come restituzione di un disagio sociale – di una generazione e di una comunità insieme – che nel 2013 ha portato in piazza, a Taksim Square, migliaia di persone. Wonderland, scevro da qualsivoglia linguaggio politically correct, è un’esplosione di cinismo: la contestazione dell’autorità è un prepotente crescendo che dalla freestyle breakdance di un adolescente intorno a una ruspa in movimento culmina nella messinscena di un pestaggio di gruppo ai danni un poliziotto.

Otto minuti e trenta secondi, quelli diretti dall’artista ed editore Halil Altindere, dove il limite tra dissenso e crimine svapora. La sensazione di onnipotenza di una generazione allo sbaraglio, con sogni impossibili stipati dentro valigie di cartone, sconfina nella vertigine di una corsa lungo le altissime mura che tagliano la città di Istanbul. Un salto emozionale nel vuoto, un pugno allo stomaco di libertà che ricorda la passeggiata in bicicletta di un gruppo di scapestrati ragazzi nel videoclip di “The suburbus” della band indie rock canadese Arcade Fire. “In my dreams we’re still screamin’, we’re still screamin’” chiude il testo della canzone.

E mi piace disegnarla così questa generazione: urlante e arrabbiata. Attiva, sui social network e, soprattutto, nella vita. Nelle piazze delle città di tutto il mondo. A rivendicare la propria identità e le proprie utopie, in Canada come in Turchia.