Oaxaca, a dieci anni dalla lotta dei maestri

Oaxaca de Juarez, capitale dello stato di Oaxaca. Città coloniale. Bella, turistica, colorata. Lo Zocalo ospita un planteon sotto il palazzo del governo. Ad un lato della piazza si trova ciò che pare solo il frammento di un ricordo della APPO ovvero l’Assemblea Popolare delle Popolazioni di Oaxaca. In città null’altro è rimasto.

da Oaxaca, Andrea Cegna

Il 22 maggio del 2006, praticamente dieci anni fa, iniziava una grande protesta della sezione 22 del Sindacato Nazionale dei Lavoratori dell’Educazione. 80000 maestri in presidio permanente per chiedere scuole migliori, salari giusti e le dimissioni del governatore dello stato di Oaxaca Ulises Ruíz Ortíz.

Proprio Ortiz ordinerà lo sgombero del presidio. Il 14 e 15 di giugno del 2006 migliaia di poliziotti entrano in città e con violenza cacciano dalla piazza dello Zocalo i maestri della sezione 22 della SNTE. Ogni stop è solo un altro start cantavano i Casino Royale e quello sgombero segnò la nascita della APPO e di uno dei più alti momenti di resistenza del popolo di Oaxaca. 300 diverse associazioni di tutto lo stato si coalizzarono al fianco dei maestri contro il governatore.

Non solo la richiesta di un salario degno e il miglioramento delle scuole, ma una serie di domande e necessità popolari e dal basso che si sommarono e pretesero la cacciata di Ortiz.

Una lunga assemblea iniziata il 17 giugno e conclusa dalla SNTE il 21 dello stesso mese diede vita all’occupazione del centro di Oaxaca de Juarez e allo stesso tempo di diversi municipi dello stato. La popolazione invitata dai maestri all’assemblea rifiutò di tornare a casa, così quasi naturalmente iniziò l’occupazione della città.

Studenti e studentesse, lavoratori e lavoratrici, donne e uomini di Oaxaca uniti, gomito a gomito, in una lotta comunitaria e al di fuori di ogni partito o fronda di potere istituzionale.

Quell’esperienza di lotta è segnata in maniera irreversibile dalla presenza di tantissime donne.

“….la partecipazione attiva delle donne durante la Comune (di Oaxaca) fu un fatto fondamentale. Dotandosi di mezzi specifici, come Radio Cacerola e la Coordinadora de las Organizaciones de las Mujeres, e portando al centro dell’agenda politica le questioni di genere, le donne di Oaxaca emersero come una soggettività nuova per rompere la marginalità cui erano relegate non solo dall’ideologia patriarcale del Messico post-coloniale, ma anche nelle stesse comunità tradizionali. Parlare di autonomia nella Comune di Oaxaca non significa dunque rivendicare una qualche purezza o “semplicità” di costumi che esisteva nelle comunità e che fu poi spazzata via dalla modernità capitalista. Sicuramente l’eredità coloniale pesa su quella che il Subcomandante Marcos ha chiamato “la lunga notte dei 500 anni”: lo sfruttamento e lo sterminio continuano a braccare ogni tentativo di autodeterminazione dei popoli in Messico. Ma non c’è alcun ritorno al “passato perduto”, quanto piuttosto una rottura irreversibile. Le forme di autogoverno delle tradizioni comunitarie sono state centrali durante l’autogestione della città di Oaxaca nel 2006, ma sono state completamente ridefinite dalla partecipazione delle donne che ha imposto il tema del genere come elemento centrale, e non semplicemente accessorio, della rivolta politica.” (tratto da un articolo di Alessandro Peregalli e Martino Sacchi per carmillaonline).

Quattro mesi dopo migliaia e migliaia di unità della Polizia Federale Preventiva entrano in città per sgomberare la APPO, dopo che il 27 di ottobre duri scontri nel municipio di Santa Lucía del Camino porterà all’omicidio di quattro persone, tra queste un giornalista americano di Indymedia Brad Will Se il centro della capitale fu preso il 29 di ottobre lo sgombero definitivo della città di Oaxaca terminerà un mese dopo.

Dopo dieci anni forse è riduttivo dire che resta solo uno stencil su di un muro a ricordare l’esperienza unica dell’Assemblea Popolare delle Popolazioni di Oaxaca.

La città è piena di scritte, di murales e manifesti che raccontano attivismo sociale e culturale.

A pochi passi dalla chiesa di Santo Domingo si trovano immagini di una donna con il machete in mano che dice che occorre “macetare il macho”. Dura invettiva contro la violenza di genere in un paese attraversato da un sessismo esplicito e violento. La violenza non è certo la soluzione a processi sociali. La capacità però di prendere coscienza di ciò che accade e subisce passa anche dall’esposizione colorita e virulenta di un’opposizione necessaria. Forse senza l’esperienza della APPO “machete al machote” non si troverebbe nelle vie della città.

Dopo dieci anni forse non leggeremmo sui giornali che, in vista di un nuovo sciopero generale proclamato dal sindacato dei maestri negli stati di Chiapas, Guerrero, Michoacan e Oaxaca, si sono già mossi attorno alla capitale 20000 unità di polizia.

Il ricordo dei 4 mesi di APPO del 2006 resta vivo e forte nella mente di chi vive stato e città. Non serve andare all’UniTierra, università nata nei rivoli ideologici creati di Ivan Ilic e ripresi e trasformati in realtà da Gustavo Esteva, o all’Università Autonoma Benito Juarez. Ne parlano le taxiste e i baristi, i gestori di alberghi e le venditrici al mercato. Negare la storia, le resistenze e le diversità cancellando dai muri ciò che da fastidio non resetta la memoria di chi ha visto e vissuto, è solo un triste esercizio di stile e controllo isterico del potere.