Viaggio in Chiapas

Una terra che resiste anche alla speculazione edilizia e al modello di turismo di massa

di Andrea Cegna

Inserito oggi dentro alle mappe turistiche di ogni agenzia di viaggio, il Chiapas è uno dei 33 stati che compongono il Messico.
L’esplosione turistica è cosa recente. Fino ai primi anni ’90 era uno dei punti di passaggio della Ruta Maya. Palenque e San Cristobal erano divise da diverse ore di viaggio su una strada piena di curve.

Alberghi e ristoranti erano rari e radi. Le carte di credito non venivano prese quasi da nessuna parte.
Parliamo di uno stato vissuto da indigeni e meticci. L’insurrezione Zapatista ha poi messo il Chiapas all’interno delle cartine delle rivoluzioni mondiali.

Il fascino occidentale per i passamontagna e per il SubComandante Marcos hanno spinto centinaia di persone a prendere aerei e sfidare posti di blocco di militari e polizia federale per raggiungere le comunità in resistenza.

C’è chi dice che l’esplosione turistica del Chiapas viste le sue bellezze naturali doveva solo arrivare.
C’è chi dice che l’esplosione turistica del Chiapas sia una delle diverse forme di contro-insurgencia aperte dal governo Messicano per rispondere agli Zapatisti.

Riempire lo stato di turisti, far guadagnare molti pesos a chi con loro lavora, dare un’immagine diversa del territorio e quindi non povero ed abbandonato, ma ricco e vissuto, sono evidentemente degli strumenti. La crescita costante di turisti si sta accompagnando sempre più alla giustificazione di mega progetti nelle aree di influenza dell’EZLN.

Che sia l’autostrada Palenque-San Cristobal de Las Casas, oppure l’aeroporto di Palenque, oppure eco-villaggi turistici attorno ad Aqua Azul, Santa Clara, Roberto Barrios, oppure le gite turistiche nella Selva Lacandona, oppure trasformare le lagune Miramar e Montebellos in luoghi attrezzati per il turismo di massa, poco importa.

La speculazione edilizia e della natura è nei progetti statali e delle grandi aziende del turismo. Sgomberi di comunità indigene e di campi collettivi sarebbero il passaggio necessario per fare tutto questo. Lo zapatismo lotta così anche contro le trasformazioni del territorio, nel nome della difesa della terra.

Questi giorni trascorsi nello Stato situato nel Sud-Est messicano e al confine con il Guatemala mi hanno permesso di parlare molto delle trasformazioni che il territorio ha subito e sta subendo con l’avvento del turismo di massa. Tanto che molti giornali locali, nonché nazionali, criticavano in maniera molto colorata la mobilitazione dei maestri della CNTE di questi giorni proprio perché i loro blocchi stradali stanno facendo perdere milioni di pesos a chi lavora con il turismo.

Ed è così diventato immediatamente palese come il turismo da queste parti sia si una forma di ricchezza ma anche di limitazione di conflitti e della possibilità delle popolazioni indigene di vivere secondo le loro tradizioni.

Nonostante tutto il Chiapas è un territorio costantemente attraversato da conflitti sociali. Lo Zapatismo è sicuramente la punta di diamante, ma occorre ricordare che qui si trovano due delle sezioni più combattive del sindacato dell’educazione, si trova una delle poche scuole normali rurali sopravvissute alla chiusura di massa delle stesse operata dal governo messicano dopo il massacro di piazza delle 3 culture il 2 ottobre del 1968, si trovano sedi di moltissime ONG e associazioni che lottano per i diritti umani.

I conflitti in questa parte del mondo sono concreti e materiali: in questi giorni, tra le tante mobilitazioni che chiedono la testa del governatore dello stato Manuel Velasco, gli autotrasportatori dello stato sono in sciopero permanente contro i “pirati” ovvero contro chi svolge lavoro di trasporto di persone senza avere la licenza pubblica.

Ricorda molto da vicino quello che è successo da noi quando i taxisti si sono alzati in protesta contro “Uber”. Il sindacato dei trasportisti pratica sequestro e rogo dei mezzi non ufficiali.

Tra questi anche due taxi della cooperativa di trasporto Zapatista sono stati colpiti nella città di Ocosingo, da sempre città anti-zapatista. La cooperativa Emiliano Zapata nel nome della proclamata autonomia non ha rapporti di alcun tipo con il governo e quindi dal 2003 non rinnova più le licenze. Tanto basta per incorrere nell’ira della lobby del trasporto turistico che genera migliaia di pesos al giorno.

Il Chiapas non è un luogo semplice da raccontare, gli ultimi 22 anni sono segnati dall’accelerazione costante di conflitti, speculazioni, resistenze, militarizzazioni, e turismo.

Fino a qualche anno fa parlavamo della seconda zona al mondo per militarizzazione, dopo la striscia di Gaza. Non ci sono dati ufficiali ma probabilmente il secondo posto è stato recentemente raggiunto dal Bakur, il Kurdistan Turco. Militari e polizie riempiono le strade e gli incroci delle diverse città.

Più ci si muove verso le zone di influenza zapatista più le basi militari aumentano. Fino ad un decennio fa i posti di blocco erano costanti e pervasivi. Oggi, per far percepire ai turisti un senso di sicurezza e nella pratica della guerra di bassa intensità contro l’EZLN, sono stati dismessi, senza però dismettere basi, presenza militare e minacce alle comunità indigene.

L’equilibrio su cui tutto si basa è fine come una corda di violino. I conflitti vengono spesso sedati nel sangue, come successo a dicembre con l’assassinio di un maestro della CNTE, durante una delle prime proteste contro la riforma educativa. Nel nome del turismo si permette mobilità assoluta agli stranieri mentre si stringono le maglie degli spostamenti per le popolazioni autoctone, e il grande numero di forze speciali resta in attesa d’azione.

La visita del Papa da questi parti non ha toccato nessuno dei punti scomodi e contraddittori dello Stato, e si è fermata ad una facciata di comodo con la visita alla tomba di Don Sumuel Ruiz Garcia, teologo della Liberazione.

Ci piace ricordare come Bergoglio abbia combattuto una feroce lotta contro la teologia della liberazione e probabilmente anche grazie a questo suo impegno è stato eletto Papa.

In mezzo a tutto ciò la lotta zapatista continua a costruire la sua autonomia. In 12 anni, sanità e istruzione sono garantiti per tutte le comunità anche attraverso strutture di qualità e impensabili fino a pochi anni prima.

Recentemente il subComandante Moises, capo militare e portavoce dell’EZLN dal 2013, ha rilasciato un importante intervista dove racconta come la scelta di abbandonare l’azione armata nel nome dello sviluppo delle comunità sia stata vincente soprattutto visti i risultati ottenuti.

Risultati non banali raggiunti nonostante l’accerchiamento militare e paramilitare, nonostante i programmi di governo per le famiglie e le comunità non zapatiste, nonostante la negazione pubblica dell’esistenza dell’EZLN. I media non ne parlano più.

E quando ne parlano raccontano di un movimento in crisi. La spiegazione è facile: il governo Peña Nieto è il più impopolare della storia del paese, e quindi raccontare che esiste un esperienza che in maniera autonoma, e nel nome dell’anticapitalismo, costruisce una società dove diritti e futuro sono realtà, sarebbe ingestibile per i poteri che governano il Messico.