Sanzioni o castighi?

Il Portogallo, insieme alla Spagna, è a rischio sanzioni
da parte dell’Ue per eccesso di deficit.
Dopo l’austerity della troika, una punizione
per il nuovo governo di sinistra?

di Marcello Sacco, da Lisbona

Lo scorso fine settimana, mentre il nuovo premier portoghese, il socialista António Costa, festeggiava il giro di boa dei primi sei mesi di governo incassando uno storico accordo con i portuali di Lisbona – in agitazione da anni contro la concorrenza al ribasso delle agenzie di lavoro interinale operanti nel porto della capitale – il nuovo presidente della Repubblica, Marcelo Rebelo de Sousa, faceva le valigie per volare a Berlino. La visita ufficiale scaturiva da un invito dell’omologo tedesco, Joachim Gauck (con Rebelo de Sousa nelle foto sotto), ma il presidente portoghese aveva temporeggiato fino a trovare la disponibilità anche di Angela Merkel, che proprio in circostanze come questa conferma la sua posizione di leader di fatto, primus inter impares alla tavola rotonda europea. In ballo, per tutto questo mese, ci sarà una questione molto delicata per i suoi effetti pratici, ma anche per le sue ripercussioni simboliche.

Parliamo delle sanzioni per eccesso di deficit nel 2015, che l’UE potrebbe comminare sia al Portogallo, fresco di elezioni legislative e presidenziali, sia alla Spagna, ancora senza un governo e sprofondata nel clima che sappiamo, allo stesso tempo post e pre-elettorale (si torna alle urne il prossimo 26 giugno).

Marcelo Rebelo de Sousa è un militante storico del partito di centrodestra ora all’opposizione, il socialdemocratico, ma pare il primo della sua famiglia politica a voler traghettare qualche chiaro elemento di resistenza all’austerità europea dai discorsi dell’infotainment alla linea politica di un’alta carica istituzionale. Subito dopo il suo insediamento, ai primi di marzo, ha avviato una frenetica attività di “pacificazione” del Paese, provato dagli anni della troika e spaccatosi su una transizione post-elettorale piuttosto tesa, visto il risultato incerto uscito dalle urne in ottobre (i socialisti, in minoranza, si reggono con il sostegno parlamentare di comunisti e Blocco delle sinistre su alcuni punti chiave del programma di governo).

Rebelo de Sousa si è dunque messo a girare il Portogallo in lungo e in largo, stringendo molte mani e facendo leva sulla sua popolarità dovuta ad anni di militanza più catodica che partitica, visto che è da tempo un volto noto della tv (che con lui continua a essere di una benevolenza inedita). Ora il professor Marcelo (come lo chiamano tutti) ha anche deciso di giocare fuori casa e andare a discutere a tu per tu con i tedeschi, con i quali già nel 2012 aveva provocato una piccola crisi diplomatica producendo un video in cui si proponeva di sensibilizzare l’opinione pubblica tedesca sulla situazione portoghese. Il video (qui sotto) mostrava i benefici dell’opzione europea per il Portogallo degli ultimi 40 anni, ma anche le occasioni ghiotte che il mercato lusitano aveva offerto alle imprese tedesche, dalle commesse per l’Euro 2004 allo smercio di materiale bellico. Lo spot si sarebbe dovuto proiettare nella piazza Sony di Berlino, se l’iniziativa non fosse stata bloccata dalle autorità locali.

Intanto proprio la Germania, durante l’ultima riunione dell’Ecofin, ha indirizzato alla Commissione europea una protesta per non aver ancora applicato le fatidiche sanzioni.

Ad alzare la voce pare sia stato il solito falco Wolfgang Schäuble, ma qui si entra in uno strano gioco delle parti che potrebbe far contenti tutti, almeno per ora. Schäuble interpreta il collaudato ruolo del cattivo, Rebelo de Sousa quello del capitano coraggioso e Merkel, che per ora ha congedato il presidente con baci e abbracci, la magnanima.

Bisogna dire che le sanzioni non sono mai state applicate quando paesi come la Francia o la stessa Germania hanno sforato la meta del deficit. Farlo proprio ora contro una nazione come il Portogallo, che i diktat della troika li ha eseguiti tutti, assumerebbe il gusto doppio del castigo e della beffa. Forse per aver mandato all’opposizione gli interlocutori preferiti dagli artefici dell’austerità? Ma il deficit del 2015 sarebbe responsabilità proprio di quel governo “primo della classe”, che aveva dato al Portogallo la fama di migliore alunno della troika, l’esempio buono da contrapporre ai monelli greci, quello che nel 2014 si era addirittura dissociato dalle richieste francesi e italiane di flessibilizzare il famigerato tetto del 3 per cento.

Nell’ultimo dibattito parlamentare, rispondendo a un’interrogazione proprio dell’ex premier Passos Coelho, l’attuale Presidente del consiglio non le ha mandate a dire: certi partner europei hanno chiuso un occhio sulla politica economica timidamente meno rigorosa a ridosso dell’ultima campagna elettorale, perché si aspettavano che il centrodestra tornasse a vincere e abbattesse di nuovo la sua scure sulle pensioni.

Invece, non solo il nuovo piano pensioni è il primo senza tagli da un po’ di tempo a questa parte, ma negli ultimi mesi la pressione fiscale, se non si è alleggerita, si è perlomeno spostata (per esempio sul carburante), ed è stata affiancata da una serie di misure di salvaguardia dei salari e di certe fasce di reddito (come le bollette a tariffa sociale per le famiglie più povere, in vigore dal prossimo luglio).

Certo l’economia e le finanze del piccolo Portogallo sono sempre fuscelli nella tempesta del sistema globale. Le previsioni di crescita vengono periodicamente ritoccate al ribasso e il sistema bancario vacilla. Tra i temi sul piatto di questo incontro c’era appunto la ricapitalizzazione con soldi pubblici della banca di Stato (Caixa Geral de Depósitos) e l’ipotesi di vendere ciò che resta del fallito Banco Espírito Santo (ora Novo Banco) all’altro grande gruppo bancario privato, il Banco Comercial Português; due operazioni possibili solo se autorizzate dalla Commissione, in quanto anche la banca privata BCP in questi anni ha usufruito di aiuti statali non ancora rimborsati.

Ogni esito, insomma, resta incerto, esposto a scosse interne ed esterne, come quelle che già fanno tremare i partner commerciali europei (l’instabilità in Spagna, le incognite della Brexit) ed extraeuropei (Brasile e Angola soprattutto).

L’Europa potrebbe richiedere manovre aggiuntive e gli osservatori, gli stessi che non avrebbero dato sei mesi di vita al governo Costa, continuano ad attendere scettici un eventuale piano B, più duro, che minerebbe il patto delle sinistre. Le stesse sanzioni – nel caso specifico, una multa da 370 milioni di euro, ma si può arrivare alla sospensione dei fondi strutturali – cadono come pioggia sul bagnato.

Tuttavia anche la Commissione ha per ora preso tempo e distanze da Berlino. Tramite una portavoce, ha fatto sapere che si riserva il diritto di intervenire con “some sense of sensitivity”. Ogni decisione è dunque rinviata ai primi di luglio, quando anche il futuro scenario politico spagnolo dovrebbe essere più chiaro. Ma qui casca l’ennesimo asino, perché Schäuble – cinico e arcigno, sì, ma non indifferente agli umori dell’opinione pubblica continentale – avrebbe detto che, se c’è da sanzionare, non si fa bella figura ad aspettare prima l’esito delle elezioni spagnole. Insomma, in questa Europa di diffidenti, dove tutti si guardano in cagnesco, la sensibilità e il buon senso della Commissione rischiano di passare solo come strumenti per calibrare meglio il castigo che spetta agli elettorati disubbidienti.

 

L’immagine di Marcelo Rebelo de Sousa in apertura è una foto di Martin Schulz tratta da Flickr in CC