All’ombra del rischio. Un’altra Chernobyl per l’Ucraina? 1/3

Come si vive vicino alla più grande centrale nucleare d’Europa, trent’anni dopo l’incidente di Chernobyl?
Reportage dalla cittadina ucraina di Energodar,
per la quale l’atomo significa tutto

di Luca Ondercanin, foto di Tomas Halasz

Sono quasi le sei del mattino e una ventina di pescatori se ne stanno tranquillamente seduti sulla banchina del fiume Dnieper. Alcuni si nascondono fra i canneti su piccole barche di legno. Accanto a loro i secchi in cui gettare i pesci. Fa freddo. Il sole sorge lentamente dietro le due torri della centrale nucleare di Zaporizhzhya. La coltre di vapore del sistema di raffreddamento copre i segnali di avvertimento che delimitano l’area. Tutti osservano, in silenzio, l’acqua fumante, qualcuno fuma una sigaretta. Un uomo che indossa una giacca con il simbolo dell’atomo sonnecchia mentre tiene ben salda in mano la canna da pesca. Alcuni di loro sono arrivati qui dai villaggi limitrofi, passando per una sconnessa strada lastricata di pietra che attraversa la foresta e le collinette di sabbia portata dal vento. Altri appartengono al vicinato – i pescatori si radunano qui durante il giorno.

Nel pomeriggio la nebbia si è ormai diradata. Verso le 3 del pomeriggio Vladimir è con gli altri pescatori, il suo cestino della pesca ancora vuoto. “A volte riesco a prendere addirittura dieco o quindici pesci al giorno, [soprattutto pesci rossi ucraini]”, racconta un uomo sulla cinquantina, l’occhio fisso sull’acqua che scorre vigorosa da un altro serbatoio.

Non c’è posto migliore per pescare: la temperatura dell’acqua usata per raffreddare i reattori è fino a 7 gradi più calda di quella del fiume Dnieper. L’uomo conosce bene la zona, viveva qui 32 anni fa, quando il primo blocco della centrale nucleare entrò in funzione. Da vent’anni lavora qui come autista.
L’acqua è pulita, secondo lui.”Stasera mangio pesce. Non c’è niente di cui preoccuparsi”.

Energodar: La città dell’eletticità

Cinquant’anni fa c’erano solo dune di sabbia sulla riva sinistra del fiume Dnieper, Ucraina meridionale, 130 chilometri circa da Zaporizhzhya. I pini crescevano e il vento sferzava il bacino artificiale di Kakhovka. Vento, sabbia e pini non sono scomparsi, ma da allora Energodar, la capitale del settore energetico ucraino, è sorta. Viaggiando lungo le terribili strade ucraine verso la città, si viene a un certo punto accolti da un posto di blocco militare, da un vistoso cartello che indica “Энергодар” e da condomini alveari spuntati accanto ai prati sabbiosi dove crescono i pini.

Qual è il modo più semplice per descrivere questa cittadina di 54mila abitanti? Se conoscete i Simpsons, è come una sorta di Springfield ucraina. La città è stata costruita per un unico scopo: dare un posto dove vivere ai lavoratori delle due centrali, quella termica e quella nucleare. Nel corso di 46 anni alcune decine di blocchi di condomini e case familiari sono sorti insieme a quattro ristoranti, un grande parco, una dozzina di negozi, il centro culturale Suchasnik (ossia contemporaneo), due discoteche, il lungofiume e diverse chiese, con una grande chiesa ortodossa in costruzione. Al centro di questo universo si trova la più grande centrale nucleare d’Europa che al pieno della sua capacità può produrre quasi metà dell’energie nucleare ucraina.

La gente del posto si è abituata a vivere all’ombra della centrale. Due dei sei reattori della centrale nucleare di Zaporizhzhya dovrebbero essere disattivati fra due anni per la fine della loro durata di vita e, secondo i documenti disponibili, gli altri reattori saranno spenti entro il 2025. Eppure il governo ucraino non vuole rinunciare all’atomo. La ragione non è semplicemente che le persone qui dipendono quasi unicamente da questo lavoro. Un’altra possibile motivazione è il denaro dell’Europa, un’importante somma di denaro dall’Europa. Stiamo parlando di quasi 600 milioni di euro.

Ci sono circa 150 reattori nucleari attualmente attivi in Europea, escludendo la Russia. Il loro numero è progressivamente diminuito negli anni – dopo l’incidente di Fukushima in Giappone, la Germania intendere abbandonare gradualmente l‘atomo, e anche la Francia, un tempo uno dei produttori principali di energia nucleare, sta considerando la possibilità di introdurre alcune restrizioni.

La durata di vita prevista per un reattore nucleare degli anni 70-80 è solitamente compresa tra i trenta e i quarant’anni. Più di un terzo di questi hanno comunque continuato a operare molto più a lungo e i governi continuano a utilizzarli. L’Ucraina dispone di 15 reattori distribuiti su 4 centrali, tutte costruire negli anni dell’Unione Sovietica. Dodici fra questi dovrebbero essere dismessi entro il 2020. Attivisti ed esperti nutrono parecchi dubbi circa la sicurezza di questi “reattori zombie”. Tuttavia, la strategia è chiara – l’energia nucleare è ancora una priorità per l’Ucraina e i reattori dovrebbero ricevere semaforo verde per operare per i prossimi dieci anni o addirittura più a lungo.

Sicurezza e problemi

Trent’anni dopo il disastro nucleare di Chernobyl, i visitatori sono probabilmente gli unici a parlare di paura. Ma sulle pareti dell’ufficio di Kiev nel Centro Ecologico Nazionale (NECU) sono appesi poster che chiedono restrizioni all’uso del nucleare. Il NECU è parte dell’ong internazionale CEE Bankwatch Network, che monitora il flusso di denaro pubblico nei progetti che possono avere conseguenze negative per esseri umani e ambiente. E l’estensione della durata di vita dei reattori nucleari ucraini potrebbe essere uno di questi.
“È una decisione politica e come tale deve essere trattata” afferma l’attivista of Bankwatch Olexi Pasyuk.
Il problema è che le regolo non sono sempre rispettate. Bankwatch parla dell’approvazione di un’estensione della durata di vita della centrale nuclear di Pìvdennoukraïns’ka, conosciuta anche come centrale nucleare Ucraina del Sud.

“Il responsabile della regolamentazione sull’energia nucleare aveva detto che si sarebbe presa in considerazione l’estensione della durata di vita del reattore solo se fossero state adottate alcune misure specifiche. Ma quando venne il momento fu chiaro che questa misure non erano state messe in atto. Ciò non impedì che l’estensione fosse approvata. Dissero solo – Nessun problema, si provvederà quando le unità avranno ripreso a lavorare”, enfatizza Pasyuk. Energoatom, l’operatore pubblico per l’energia nucleare, ha denunciato NECU per diffamazione e la Corte di Cassazione dell’Ucraina gli ha dato ragione.

Bankwatch teme che il processo decisionale non sia indipendente. Nel 2014 il Ministro dell’Energia inviò una lettera a dei produttori di energia eolica invitandoli a ridurre l’attività dei loro siti a vantaggio dell’energia nucleare. La domanda è infatti bassa e le centrali nucleari non sono utilizzate in modo efficace – a marzo hanno prodotto appena metà rispetto al loro potenziale.

I sopracitati 600 milioni di euro provengono dall’Europa. La Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERD) ha dichiarato che il prestito congiunto con l’agenzia per il nucleare Euratom è finalizzato unicamente alla messa a nuovo degli impianti per il rispetto degli standard di sicurezza, non per il prolungamento della loro durata di vita.

“L’estensione della durata di vita è responsabilità di Energoatom e la Banca non prende parte a questo programma“ precisa Axel Reiserer del Dipartimento Comunicazione della BERD. La questione è se le autorità locali prendono la questione della sicurezza seriamente. Sono necessari un serio meccanismo di controllo e sforzi da parte dei regolatori locali. Altrimenti il rischio di problemi aumenterà. E se l’Europa non mantiene un controllo adeguato sui progetti che sostiene è impossibile valutare in modo preciso se il denaro viene effettivamente utilizzato per la messa in sicurezza.

L’anno scorso la Commissione Europea ha criticato l’Ucraina per la decisione di estendere la durata di vita dei suoi reattori, presa senza alcuna consultazione con i paesi confinanti, come invece richiederebbero le convenzioni internazionali.

“Il prestito della BERD e dell’Euratom incoraggia ulteriormente la dipendenza da fonti di energia non sostenibili, oltre che la dipendenza dalla Russia per le forniture di combustibili nucleari” racconta Dana Marekova di Bankwatch. Inoltre, secondo Marekova, manda un segnale sbagliato, ossia che non rispettare le convenzioni internazionale e ignorare la voce dell’opinione pubblica è accettabile. La centrale di Zaporizhzhya sostiene che non ci sia bisogno di avviare alcuna consultazione internazionale nel caso di un prolungamento delle attività dei reattori, anche se Slovacchia, Ungheria e Romania lo richiedessero. Le convenzioni sono già state violate per la centrale nucleare di Rivne. La centrale respinge anche le obiezioni le un’estensione di dieci e più anni possa essere rischiosa.

“Questa decisione è stata presa dal regolatore pubblico, non da noi. Se dicono di no, è no. Hanno approvato l’estensione della durata di vita dei reattori della centrale Ucraine del Sud e di quella di Rivne. Abbiamo regole precise e speriamo in una decisione positiva”, recita il comunicato rilasciato dalla direzione della centrale.

Tutta una vita in una centrale

Com’è una cittadina la cui unica ragione di esistere è la vicina centrale nucleare? Energodar è noiosa, filo-russa e senza prospettive per il futuro, senza parlare del ciclo di lavoro di tre turni alla centrale?
Prima di tutto, questa è la città dell’atomo. L’atomo è ovunque: simboli sugli edifici, sulla palestra, all’ingresso del centro abitato. La centrale sta addirittura organizzando un concorso di disegno „Atomi per la Pace – Il Futuro del Mondo“. Anche la bandiera e lo stemma della città richiamano all’industria energetica.
Energodar pulsa di concerto con la centrale: prima delle 7 del mattino gli autobus della società scaricano i lavoratori sul posto di lavoro, quattro chilometri dal centro. Decine di macchine passano sotto l’arco con il logo dell’atomo.

La centrale è enorme – sei reattori nucleari di coloro rosso svettano tra edifici più bassi e sistemi di raffreddamento, ogni blocco numerato con precisione. I lavoratori coperti dai loro elmetti camminano lungo i muri bordati di filo spinato, altri piantano fiori decorativi all’entrata della centrale.

Due torri di raffreddamento sono ben visibili dietro i reattori, situate su una stretta penisola lungo le rive del fiume Dnieper. Un uomo può sentirsi un nano qui. C’è anche un centro di stoccaggio per il combustile nucleare esaurito. Diversamente da Zaporizhzhya, di recente le altre centrali nucleari ucraine mandano il combustile nucleare esaurito in Russia per il trattamento e lo stoccaggio. Il processo è di per sé piuttosto costoso e lo è diventato ancora di più in seguito al conflitto fra i due Paesi. L’Ucraina sta ora cercando delle alternative, una di queste è quella di costruire un centro di stoccaggio nella zona di Chernobyl.
A oggi più di 11mila persone lavorano alla centrale di Zaporizhzhya e altre migliaia sono impiegate in altre imprese di proprietà della centrale stessa. La maggior parte si recano la lavoro con i mezzi di trasporto pubblico, il centro è appena a cinque minuti di distanza. I dipendenti attendono in fila di registrarsi prima di entrare al lavoro, prendendo il posto di quelli che hanno appena terminato il turno notturno e si apprestano a tornare a casa.

Probabilmente niente è mai cambiato fra i corridoi degli edifici della direzione in questi vent’anni. Un annoiato soldato in uniforme è seduto alla porta, di fronte a lui un enorme registro degli ingressi e un vecchio telefono nero senza disco. Poster informativi alle pareti spiegano come funziona la centrale, c’è persino un modello di combustile nucleare in mezzo alla sala. Il luogo alla fine di questo sterile corridoio di stile socialista può incutere rispetto, persino paura, a molti. Ma anche speranza di un lavoro migliore.
Ci vogliono anni per ottenere una posizione migliore alla centrale nucleare. Alexander Chernobulov è svolto ogni mansione, dal lavoro manuale alla direzione del reattore. Oggi siede in una stanza uguale a tutte altre, ma se spinge il bottone sbagliato non provoca nessun danno, rischia solo di compromettere i suoi futuri avanzamenti di carriera.

“Prima di arrivare qui devi avere lavorato al reattore per molti anni” insiste un istruttore di lungo corso. La stanza del simulatore del controllo è identica a quella originale: pulsanti colorati, svariati interruttori e quadranti. E un’icona sacra a dominare il tutto. “Carattere e prudenza. Ecco cosa è importanti qui. Se sei un tipo distratto allora non puoi stare qui“ dice l’istruttore, ridendo. Per diventare responsabile del reattore ci possono volere fino a vent’anni. Per molti questo significa sacrificare la propria vita a una città e a un posto di lavoro.

Sotto il segno dell’atomo

Il lunedì il centro di Energodar è pieno di gente. I contadini dei villaggi vicini riempiono le strade con i loro banchetti. Vendono cetrioli, pomodori, pesce sott’olio. Babushka vende sigarette sfuse e pezzi d’antiquariato, un uomo dice di riparare finestre.

“Cipolle, ravanelli, insalata…Vendo solo qui” racconta Svetlana, una delle commesse che vive in un villaggio nei paraggi. Ma gli affari peggiorano ogni anno, si lamenta. A causa delle relazioni tese con la Russia i fruttivendoli ucraini hanno perso un importante mercato per i loro prodotti.

La città è economicamente fiorente, almeno così dicono le statistiche. Se gli abitanti della regione di Zaporizhia guadagnano intorno alle 4.200 hyrvnia (circa 146 euro), a Energodar il salario medio è quasi ai livelli di Kiev, 7.127 hyrvnia (248 euro). Inutile dire che i salari medi più alti in Ucraina sono quasi sempre nelle cosiddette città nucleari. Gli abitanti sostengono che il calcolo del salario medio è distorto dagli alti stipendi dei dirigenti, benché aggiungano di essere comunque abbastanza soddisfatti.

I bambini giocano e sfrecciano in bicicletta di fronte al memoriale del celebre poeta ucraino Taras Shevchenko, in una grande piazza senza nome. Un vecchio albergo abbandonato e il lungo boulevard dedicato agli ingegneri energetici sono gli unici punti di riferimento qui intorno. Svetlana Blinkova è nata a Energodar e ha passato metà della sua vita alla centrale nucleare. Lavora come sarta per gli altri dipendenti, ma non ha creatività. Anche lei come gli altri dice di guadagnare un buon salario che permette di andare in vacanza con la famiglia e provvedere all’educazione dei figli. Questa può essere la ragione per cui Energodar non ha l’aria di essere una città ricca: i suoi abitanti spendono i loro soldi altrove oppure li risparmiano per il futuro.

Ci può essere anche un altro problema – non ci sono molti posti per spendere i propri soldi a Energodar. Né molte opportunità per divertirsi. “Qualche volta le associazioni dei lavoratori della centrale organizzano dei talent show, a me piace partecipare e ballare”, dice una signora di 33 anni. Il resto è routine: bisogni di base, la cura dei figli, uno stipendio tutto sommato buono e un lavoro stabile. E lo stress e la paura? “Siamo consapevoli del rischio, ma ci fanno frequentare regolarmente dei corsi di formazione e aggiornamento. Solo chi non è di qui ha paura”, aggiunge.

Fine della prima parte

Questa storia è stata scritta con il sostegno di CEE Bankwatch Network