Visione stupefacente

Sabato 11 e domenica 12 Giugno, il Teatro degli incontri ha messo in scena “Appunti per una città aperta”. Ecco un affresco in parole di un pomeriggio a Milano, camminando la città.

testo e foto di Gabriella Ballarini

La città è così, un grande palcoscenico, una strada che poi diventa un’altra strada e la signora affacciata alla finestra e la musica che viene dalla bocciofila e due innamorati che si prendono per mano e si abbracciano e si consolano e si vogliono bene e…

Camminavo per la città domenica sera, durante lo spettacolo/esperienza di Teatro degli incontri ed eravamo tanti, due schiere contrapposte, che a volte una schiera si perdeva l’altra e poi riapparivano e si continuava a camminare.

C’erano due guide che ci accompagnavano e un omino vestito di blu, che era un benzinaio o un meccanico e quando ti giravi te lo ritrovavi seduto su un muretto o appoggiato ad un angolo di strada o con una bottiglia in mano.

Milano città in svendita, dove il tempo vale la metà e corre il doppio. Gli attori, credo fossero 20 o 30, hanno cambiato la consistenza degli incroci e delle rotonde e hanno avuto quel coraggio lì, quello di entrare, in via Padova, nei giardinetti di Angelo Mosso, che lì, non ci entra mai nessuno, a meno che…
E noi ci siamo entrati e gli attori erano sdraiati a terra e noi passavano in mezzo. Ma poi la realtà entra nel teatro, e riconosco un uomo, che mi sembra morto e allora non lo capisco più se lui è il teatro o se il teatro sono io, spettatrice del suo sdraiarsi. Lo tocca un po’ un tizio che era lì con me, nel silenzio della piazza una mano sfiora un uomo a terra e l’uomo si muove e il teatro si dissolve.

Milano, zona 2, sessanta spettatori guardano la città in silenzio, si posizionano di fronte ad una finestra, ad un balcone, ascoltano la poesia dell’albero: pensa che in un albero c’è un violino d’amore. Così dice la poesia.

In un albero c’è un violino d’amore e nel parchetto un uomo dorme perché ha bevuto troppo. L’odore acre di via Padova si trasforma e cambia forma e il murales di Berta Caceres e poi il tunnel e la canzone che canta e dice “ovunque, proteggi”.
Sono commossi, gli attori. Sono commossi, gli spettatori. E le auto passano e rallentano nel tunnel, e ci guardano e chiedono: che succede? E ci guardano e non chiedono nulla.
Le guide, poi, ci portano in anfiteatro, quello di via Pontano, che non lo conosce nessuno, perché è dentro al cortile della scuola e le scuole la sera chiudono e non lo sai cosa c’è dentro, a volte c’è solo silenzio, ma questa notte le gradinate vivono delle storie della città.
Dicono d’amore e di andare di corsa, le maratone e i pomodori secchi della Calabria (Calabria, I love you, dice uno degli attori) e la città di riprende la sua voce e parlano le vetrine e la signora che si è persa la sua casa, e il quartiere della Bicocca, la zona industriale che erano gli anni ottanta e poi erano novanta e poi arriva il duemila.
Camminare stando fermi e i monolocali dove la vita scorre piccola e numerata, abitata da una donna e un uomo, dove l’uomo è senza numero, lei non può contare su di lui.

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E le parole degli oroscopi e uomini e donne, che sono prolungamenti di smartphones, estensioni di reti sociali virtuali e di amori immaginati, immaginari. Immagini d’amore e di morte. La morte di chi sta camminando altrove, su una nuvola e ci salva dalla pioggia, la morte di Berta per mano dell’ingiustizia di un mondo che vorremmo giusto e invece. E invece a volte lo è. Milano in vendita e il banditore che ti regala Porta Venezia e anche la madonnina: Milano si vende, Milano si svende, Milano piange quando piove e c’è sempre un grande artista pronto a dipingere tutto. Dipinge anche il sapore delle cose, l’odore delle case, il freddo del vento e il fuoco dei pensieri.
Lo spettacolo si chiude e un grande applauso avvolge le case e i palazzi che danno le spalle a Viale Monza. E poi il silenzio e il pubblico che si alza, abbraccia gli attori, li avvolge e poi saluta e va via di schiena, come chi si mette a pensare guardando da un’altra parte.
Io ero seduta a terra, credo di aver tenuto la bocca aperta tutto il tempo, credo di aver sentito il sapore delle verdure di tutti gli orti di Milano, la grande Verza.

Ho ringraziato, ho rivisto quei gabbiani sui navigli come se fossi lì a naso all’insù e mi sono ricordata di Adriana che un giorno raccontò di sua madre e della paura di morire e di quando lei sbirciava in strada per conoscere la vita segreta degli spacciatori.

Adriana rideva, mentre Riccardo raccontava di radio Pioltello e della donna e delle pozzanghere.
Alla fine sono arrivati in due, la luce era bassa e le voci cantavano: “guardo fuori e guardo intorno, com’è gonfia la strada, di polvere e vento, nel viale del ritorno….”