Fiore

Fiore, di Claudio Giovannesi, con Daphne Scoccia, Josciua Algeri , Valerio Mastraendrea, Laura Vasiliu, Gessica  Giulianelli e Aniello Arena. Nelle sale.

di Irene Merli

Dafne ha 17 anni, vive da un’amica e assieme fanno giornata rubando smartphone ai ragazzini come loro. Quando si trova a dormire in stazione – il padre dell’amica è tornato e non la vuole tra i piedi- fa un furto sbagliato e finisce in riformatorio.

Dafne ha qualche precedente alle spalle, una madre assente e un padre amorevole, ma appena uscito di galera, fragile, inadeguato e ha ha un’indole da animale selvatico che le procura guai anche in riformatorio.

Sotto la scorza da gatto randagio, però, nasconde una profonda sensibilità, capace di provare quella solidarietà’ è quella compassione che dagli altri non ha avuto mai.

Quando incontra Josh, detenuto nell’ala maschile a causa di una rapina, inizia con lui un tenerissimo rapporto fatto di sguardi, mezze parole e missive clandestine, scambiate con la complicità di altri adolescenti del suo braccio.

In riformatorio, infatti, il regolamento è severo: ragazzi e ragazze non possono avere attività comuni e neppure incontrarsi, l’amore è vietato, vietatissimo. Cosi Dafne e Josh sono condannati a guardarsi solo attraverso le sbarre, a sussurrarsi il sentimento che sta nascendo.

Giovannesi, dopo “Alì ha gli occhi azzurri”, torna a occuparsi degli ultimi e si concentra sui più giovani che sembrano avere un destino segnato, come Dafne, Josh e gli altri ragazzi del film.

Ma evita tutte le trappole del genere -retorica, buonismo, edulcorazione, autocompiacimento- grazie a una regia snella, attenta, che non stacca mai la cinepresa dal collo, dal respiro, dal viso dei personaggi.

Il risultato è uno sguardo pulito su una vitalità insopprimibile come quelle dei fiori  che crescono nelle fessure del cemento, o nel letame, parafrasando l’Amico Faber.

Dietro le sbarre gli adolescenti restano tali. Puri e incontaminati nelle loro emozioni profonde, anche se sono colpevoli di reati.

E soffrono più della mancanza d’amore che della privazione di libertà. I divieti dei poliziotti, quindi, sono gli ostacoli da superare per poter vivere la propria anarchia di sentimenti.

Il regista, per realizzare “Fiore” dalla scrittura alla messa in scena, si è basato su una forte documentazione sul campo: lui e gli sceneggiatori hanno passato 4 mesi a fare laboratori sul tema del linguaggio video e cinematografico a Casal Del Marmo, il carcere minorile di Roma.

Questa esperienza di insegnamento volontario è servita a scrivere la sceneggiatura all’interno dell’ istituto, a basarla sulla esperienze e le biografie reali dei ragazzi, a darle il massimo della verosimiglianza.

Non per nulla il cast degli adolescenti è composto da attori non professionisti, in maggior parte ex detenuti o sotto regime di messa alla prova, così come quello delle guardie penitenziarie. Anche la giovane e bravissima protagonista è una debuttante: lavora come cameriera di ristorante, mentre Josh ha già avuto esperienze da attore ma dietro le sbarre.

Gli unici due volti noti sono quelli di Mastrandrea, che interpreta magistralmente il mesto padre di Dafne, e di Laura Vasiliu (trionfatrice a Cannes nel 2007 con “4 mesi, 3 settimane, 2 giorni”), una matrigna né strega né fata, dalla recitazione credibile e misuratissima.

Last but not least: la magnifica fotografia di Daniele Ciprì, che avvolge e illumina questo piccolo grande film che a Cannes 2016, un mese fa, ha avuto successo di pubblico e di critica.