The Chilcot Report

Tutte le bugie di Tony Blair sulla guerra in Iraq nel 2003

di Christian Elia

A volte è necessario solo aspettare. E potrebbe anche essere sufficiente. Non in questo caso, però. Perché aver ragione dopo che un popolo intero è stato ucciso, costretto all’esilio, imprigionato, diviso e ferito, non è poi una gran soddisfazione.

Mentre il numero delle vittime dell’ultimo attentato suicida a Baghdad supera le 250, come in una impotente catarsi, arriva l’esito del lavoro – durato sette anni – della Commissione Chilcot, dal nome di sir John Chilcot, che la presiede.

Lo scopo della commissione (voluta dall’allora primo ministro Gordon Brown) era verificare se la decisione di unirsi agli Stati Uniti d’America nell’invasione dell’Iraq nel 2003 fosse stata legittima. Sul banco degli imputati, il governo britannico dell’epoca, guidato da Tony Blair.

Il risultato, molto atteso, non lascia spazio a dubbi: Chilcot (per ovvii motivi di opportunità) non chiama mai ‘bugiardo’ Blair, ma mette nero su bianco che – in buona o in cattiva fede – Blair ha ingannato il Parlamento di Londra, presentando come sicure le informazioni circa le armi di distruzione di massa nelle mani del regime di Saddam Hussein. Solo che non era vero.

E’ difficile, oggi, ricostruire il clima di quei giorni. E’ la fortuna di certe dinamiche del potere e di chi le applica: manca la memoria, l’oggi divora ieri. Eppure, alla fine del 2002, il cerchio della guerra inizia a stringersi come un cappio attorno a Saddam e al suo regime, al potere in Iraq dagli anni Settanta.

L’accusa: l’Iraq è uno degli sponsor di al-Qaeda (un anno prima era iniziata la ‘guerra al terrorismo’, con l’attacco internazionale all’Afghanistan, dopo l’attentato alle Torri Gemelle di New York), l’Iraq possiede armi di distruzione di massa e rappresenta un pericolo per l’umanità. Entrambe due palesi bugie.

Il Segretario di Stato Usa Colin Powell, nel 2002, aveva portato davanti al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite una fiala, spergiurando che si trattava della prova certa che Saddam avesse depositi pieni di dispositivi chimici e batteriologici.
Da un lato c’era da credergli, visto e considerato che dal 1980 al 1991 Saddam era stato un ottimo alleato degli Stati Uniti e dell’Europa, che lo avevano ricoperto di armi, poi le cose erano cambiate. Ma ora, secondo Powell, quell’arsenale sarebbe stato utilizzato contro l’Occidente.

Fin dalla fine del 2002, Blair è l’unico leader europeo importante (l’Italia e Berlusconi non vanno considerati tra questi), a sostenere senza se e senza ma l’idea dell’amministrazione Bush, alla presidenza negli Usa. Blair sosterrà questa tesi anche davanti al Parlamento britannico, dove oggi Chilcot lo accusa di non aver detto la verità. In buona o in cattiva fede. Ma non l’ha fatto.

La buona fede è stata, più o meno, la difesa di Blair oggi. Ho sbagliato, scusate. Ma ero convinto. Nel Medio Oriente gira una vignetta interessante: “Blair ammette: ho sbagliato. Tranquillo, Tony! A chi non è capitato di ammazzare un milione di persone!”. E hanno ragione. Condividendo la stessa storia, forse, ci tireremo fuori da tutto questo.

Perché dopo la disinformazione, dopo giornalisti prezzolati per sostenere l’attacco all’Iraq, dopo che Hans Blix (all’epoca capo degli ispettori delle Nazioni Unite) aveva chiaramente denunciato l’assenza di prove sulle armi di distruzione di massa, arrivando a dimettersi, l’attacco era partito. A marzo 2003.

Nonostante il mese prima, in tutto il mondo, milioni di persone fossero scese in piazza per dire no, nonostante la mancata copertura Onu alla missione (che ha poi perso la faccia accettando quella della ricostruzione), nonostante la contrarietà di Francia, Germania e altri. Anche se poi, a guerra fatta, business is business e allora tutti in Iraq, allegramente.

“La scelta di entrare in guerra è stata presa molto prima che tutte le altre opzioni fossero esaurite”, sentenzia il rapporto Chilcot. Scolpito. “Le informazioni di intelligence erano fallaci, non c’era alcuna prova a sostegno della certezza con la quale è stato rappresentato il pericolo rappresentato dalle armi di distruzione di massa irachene”.

E ancora: “L’amministrazione Bush ha ignorato le richieste di presentare una exit strategy post – bellica, ma il governo britannico lo ha seguito lo stesso.” Ancora: “Il governo britannico non ha fatto abbastanza per proteggere le vittime civili irachene”. A questo link, potete leggere da soli.

Ecco, oggi, che il movimento contro la guerra è diviso e dolorante, sarebbe bello rivedersi tutti, da qualche parte. Per dirsi che avevamo ragione. Per dire a tutti gli iracheni che hanno perso la vita, che sono scivolati nell’orrore della guerra, che prima del 2003 non avevano mai visto né kamikaze né autobombe, che avevano ragione anche loro.

Non serve a nulla. Perché non illudiamoci che l’aspetto legale – come chiedono le famiglie dei soldati britannici morti in Iraq, come chiedono le famiglie di iracheni uccise dai britannici – porti a qualcosa. Ma è importante. Perché torneranno a raccontare le stesse storie, torneranno a chiedere fiducia, a promettere sicurezza. Ma sarà solo guerra. E sarà importante ricordare che, nel 2002 e in tante altre occasioni, avevamo ragione.