Quando c’era Luca

Un anno fa moriva un grande giornalista, esponente di una scuola tutta italiana del giornalismo narrativo


di Christian Elia

Il 6 luglio 2015 abbiamo perso Luca Rastello. Al di là dell’aspetto umano, che ognuno tiene per sé, abbiamo perso il giornalista, lo scrittore. L’abitatore di terre di mezzo, sia linguistiche che narrative.

Luca è andato via troppo presto, ma ha avuto il talento necessario per lasciare una pietra importante su quella strada senza coordinate che è il giornalismo narrativo. Vale un po’ il sistema degli esploratori del passato: arrivi fin dove è stato qualcuno, ma solo per andare oltre, lasciando a qualcun altro dopo di te.

Giornalista vero, Rastello. Torinese, classe ’61, arriva a La Repubblica dopo anni intensi a Diario e NarcoMafie. Senza dimenticare il rapporto importante con Osservatorio Balcani Caucaso. Inchiesta e reportage, in Luca, convivevano con passione. Il racconto è profondo, vero, ma mai banale.

Sono tanti i lavori, gli articoli, di una vita investita nell’informazione. I libri, però, son quelli che più di tutti parlano di lui. E non potrebbe essere altrimenti, necessitando di una scrittura che si stende, si sgranchisce le gambe, stira la schiena. Per dire tutto quel che c’è da dire.

Ho amato molto Luca e il suo lavoro, continuando a ritenere La guerra in casa, edito da Einaudi, molto più di un libro. E’ stato un incontro. Come la prima volta che ho avuto la fortuna di conoscere Luca, davanti a un caffè, per il quale non gli è mancato il tempo, anche se di fronte aveva solo un ragazzo che voleva fare il suo lavoro.

E’ stato un incontro narrativo, quando trovi nelle parole, nelle denunce, nello sguardo che resta umano, nell’assenza di colori e piani definiti, quella complessità che senti, ma che non sei ancora capace di scrivere. Un racconto sulla guerra in Bosnia che diventa parte di una presa di coscienza collettiva.

Binario morto, scritto a quattro mani con Andrea De Benedetti, è un altro capolavoro. Edito da Chiarelettere, è il racconto di un viaggio da Lisbona a Kiev, lungo quel corridoio 5 che, come tutti i progetti di questo tipo, è riuscito a essere allo stesso tempo truffa, sogno e promessa mancata.

E chilometro dopo chilometro, si svelava l’inganno, si raccoglievano i cocci, si intuiva un declino dell’idea stessa d’Europa che oggi, dalla Brexit al filo spinato per i rifugiati, passando per populismi e razzismi, ci è cascata addosso, come un bicchiere d’acqua gelata dopo un lungo sonno.

Chiudo segnalando La frontiera addosso, edito da Laterza, storie di uomini e donne in cammino da un continente intero. Guardando in loro, nella negazione dei nostri diritti, un pezzo della nostra anima che si sta allontanando dall’Europa. E nessuno ha un piano per recuperarla.

La militarizzazione delle frontiere, la criminalizzazione della fuga, la burocrazia che muta l’accoglienza in arresto, la solidarietà in paura, la civiltà in prigione.

Il lavoro di Luca vive nei suoi libri, anche in quelli che mi hanno convinto meno. Come I buoni, sorta di pamphlet – tra l’autobiografico e l’universale – sul tema degli ‘eroi’ o presunti tali del mondo no profit, dell’impegno, della denuncia.

Ho fatto in tempo a dire a Luca che non ho mai creduto agli eroi, ma al lavoro e ai risultati. E proprio perché non ci sono eroi, poi, non ci si può stupire delle fragilità umane di coloro che sono capaci di aggregare attorno a un sogno. Perché non è una delusione, ma solo una tardiva presa di coscienza della realtà.

Ciao Luca, manchi. Leggerti è farti conoscere è uno di quei riti con i quali restiamo attaccati all’idea che in fondo, anche se siamo di passaggio, non siamo andati invano per le strade del mondo. E grazie ancora per quel caffè.