All’ombra del rischio 3/3

Reportage dalla cittadina ucraina di Energodar, per la quale l’atomo significa tutto. Trenta anni dopo Chernobyl

di Luca Ondercanin, foto di Tomas Halasz

Come si vive vicino alla più grande centrale nucleare d’Europa, trent’anni dopo l’incidente di Chernobyl?
Reportage dalla cittadina ucraina di Energodar, per la quale l’atomo significa tutto. La terza e ultima puntata.
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Corruzione e accordi

Energodar è un luogo in cui il tempo si è cristallizato. È un punto di incontro tra vecchio e nuovo, mentalità conservatrici e moderne, un crocevia tra l’Occidente e l’Oriente, le tecnologie e le tradizioni, la città conto il villaggio.
Lo si vede chiaramente parlando con le persone del posto. Prima dicono di essere soddisfatti della loro vita, ma basta poco perché riconoscano i problemi di cui non solo l’Ucraina è afflitta. Corruzzione e nepotismo.

“C’è sempre stata corruzione nel settore dell’energia”, dice il giornalista investigativo Jurii Sydorov, di base a Zaporizhzhya. All’interno del progetto Nashi groshi (I nostri soldi), controlla i flussi di denaro degli appalti pubblici. Le centrali nucleari non sono un’eccezione, ma caso è finito con l’annullamento di ordini ampiamente sopra i prezzi di mercato, ma senza che ci fossero processi né condanne. “Le centrali spesso non acquistano i prodotti direttamente, ma attraverso dei mediatori o delle società fittizie”, sostiene Sydorov.

Ha iniziato a lavorare sulla centrale di Zaporizhzhya nel 2013. Nel luglio di quell’anno la centrale firmò un accordo con la compagnia britannica Delta Business LLP per la fornitura di componenti per motori per oltre 146 milioni di hyrvnia ucraine (13,8 milioni di euro all’epoca).

Secondo Nashi groshi, la compagnia fu fondata da società offshore con sede alle Seychelles. Ancora più interessante è il fatto che l’offerta alla centrale di Zaporizhzhya aveva come contatto di riferimento Valery Kovalenko, membro della giunta comunale di Zaporizhzhya. Allora era vice direttore generale di Dea ROMA Ltd, controllata dall’oligarca Yevgen Anisimov.

Un uomo al tempo noto come l’eminenza grigia di Zaporizhzhay, molto vicino a Viktor Yanujovych e ancora ricercato dall’Interpol per estorsione. Queste persone facevano affari con la centrale in passato, sostiene Sydorov.

Perché è così importante? Perché queste stesse persone possono mettere facilmente le mani sui soldi dell’Unione Europea. È probabile che i prestiti europei destinati alla messa in sicurezza e all’ammodernamento delle centrali facciano la fine di altri fondi.

“Non tutti i soldi, ma una parte probabilmente sì”, dice Sydorov. Il problema è che gli abitanti difficilmente vorranno affrontare la questione. “Gli abitanti non sono interessati. Molti a Energodar lavorano per la centrale e perciò non si metteranno contro la società. Non tagli il ramo su cui sei seduto”, aggiunge.

Separatismo latente

La via Skifska si trova ai margini di Energodar. Una foresta di pini è separata dai blocchi di condomini da un sentiero dove la gente passeggia con i bambini o porta a spasso i cani. Gli edifici si vedono già all’entrata della città – due anni fa, quando iniziò la guerra nel Donbass, qualcuno dipinse la parte superiore con i colori nazionali, blu e giallo.

Le bandiere sono esposte alle finestre. A L’udmila piacciono. Cammina con il cane al guinzaglio e ammette che i conflitto ha segnato profondamente la città, alimentando le divisioni fra i suoi abitanti. “Molti miei parenti sono diventati filo-russo. Ma io sono ucraina”, proclama orgogliosa.

Non ci sono solo i problemi legati alla sicurezza e alla corruzione. Energodar ha forse un problema ancora più serio. La guerra con la Russia è dietro l’angolo.

La vicinanza del conflitto è tangibile in città: l’ingresso è pattugliato da posti di blocchi militari circondati da sacchi di sabbia, dei pannelli nei pressi delle abitazioni e lungo le strade annunciano che l’esercito cerca reclute. Al negozio di alimentari si vedono persone mettere nelle proprie borse della spesa del cibo in più, per i soldati.

Energodar e la sua centrale nucleare si trovano a circa 230 chilometri dal fronte. La guerra in Ucraina non dà l’impressione di poter finire presto e nonostante la centrale abbia rafforzato le sue misure di sicurezze, i rischi sono più elevati che mai.
La città non è stata teatro di battaglie, ma il conflitto l’ha comunque interessata: dietro le porte chiuse delle cucine e dei salotti o su internet. Ogni problema della centrale nucleare è riportato nel dettaglio dai media russi, che si scagliano contro l’Ucraina per diverse questioni, tra cui quella di voler rendersi indipendente energeticamente dalla Russia.

Il problema con la chiusura di uno dei blocchi delle centrale risale a due anni fa, si dice per un incidente legato al trasformatore. Secondo i media filo-russi, invece, fu causato da combustile americano non compatibile per i reattori di fattura sovietica. La direzione considera questa informazione mera propaganda.

Storicamente Energodar è blandamente filo-russa: la maggior parte di chi lavora alla centrale ha studiato all’università di Sebastopoli in Crimea. Molti si trasferiscono qui da altre zone dell’ex Unione Sovietica per lavoro. Ora a questi si aggiungono i cittadini del Donbass in fuga dalla guerra.

Non si può non notare la giacca militare di Vjačeslav Zajcev, trentacinquenne membro del consiglio comunale di Záporožie. La indossa sopra una maglietta a righe, per rimarcare il suo legame con la guerra.
Lo fa in modo sincero, ma i media considerano Zajcev un cyborg. Non un guerriero dai superpoteri, ma uno di quei soldati ucraini che ha difeso l’aeroporto di Donetsk per mesi dagli attacchi dei separatisti filorussi. Il termine cyborg, che indica i soldati più valorosi, è stato coniato dai social network ed è stato subito ripreso dai mezzi di comunicazione.

“A Energodar c’è sempre stata una sorta di sentimento separatista latente”, spiega Zajcev, nonostante il sindaco della città si premuri in ogni modo per sostenere il contrario. Indica il memoriale ai caduti dell’Ucraina e racconta di come la città si prodighi per aiutare i volontari che si arruolano nell’esercito ucraino.

Nessuno sa dove sarà la linea del fronte fra un anno o due. La centrale assicura di essere preparata nel caso ci siano attacchi, ma secondo gli esperti difficilmente potrà fare qualcosa in caso di attacchi aerei o bombardamenti.

“Ci sono molte manchevolezze nel sistema di sicurezza delle centrali nucleari”, sostiene il fisico Oda Beckerová, consulente indipendente nel campo nella sicurezza nucleare. Il suo compito è analizzare i possibili scenari nel caso di attacchi terroristici. Un pericolo non solo per l’Ucraina, ma per tutta l’Europa occidentale.

Dagli attentati di Bruxelles, infatti, c’è una forte preoccupazione che integralisti islamici possano colpire le stazioni nucleari. A scatenare la paura è stato un video sul capo del programma di ricerca sull’energia nucleare belga. Secondo il quotidiano belga La Dernière Heure, questo video sarebbe stato realizzato proprio dagli attentatori dell’aeroporto di Bruxelles. Un incidente o un attacco alle due centrali nucleari belghe potrebbe mettere in pericolo la vita di quali sei milioni di persone.

Quando non hai niente da fare

“I cittadini di Energodar hanno sempre saputo che vino e vodka sono la migliore medicina contro le radiazioni, altro che lo iodio”.
Quando ci fu l’incidente alla centrale di Chernobyl Zajcev aveva sei anni e aveva appena iniziato la scuola a Energodar. Ricorda le maschere antigas sul balcone e le decine di scienziati che venivano a controllare la stazione di Zaporizhzhya.
“A scuola avevamo le maschere antigas e un rifugio sotterraneo. Mi dicevano di portarmi dell’acqua..”, racconta. “L’addestramento era di buon livello. A poco a poco abbiamo imparato a conviverci”.

Energodar è in pericolo oggi? La tragica sorte toccata a Pripyat può ripetersi un’altra volta? E soprattutto, chi vuole davvero dipendere da una centrale nucleare?

Savva Loginov è interessato più all’asfalto che non a un’economia a senso unico in cui la radioattività diventa la sola possibilità di un lavoro sicuro. Per essere più precisi, il suo interesse va a strade e sentieri, luoghi adatti per usare il suo skateboard.

Gran parte delle strade della città è troppo accidentata per lo skateboard. Le ruote sferragliano sul marciapiede, si sente il rumore del metallo che sfrega con la parte posteriore. Adolescenti in pattini si fanno dei selfie, un ragazzino cerca di passare la rampa di metallo.

Savva passa gran parte del suo tempo in strada, dove si allena con il suo skateboard da quando ha 11 anni. Oggi ha otto anni di più e sogna di lasciare Energodar. A differenza di gran parte della città, la sua famiglia mai lavorato per la centrale. Sua madre è una stilista, non vede grandi opportunità qui, ma trasferirsi non è semplice.

I ragazzi come Savva sono sempre alla ricerca di luoghi abbandonati. Giovani appassionati di parkour occupano edifici in rovina, saltano da un lato all’altro, si lanciano in acrobazie per le strade. Chi fa skateboard prova i propri numeri sulle scale…e fine.
Queste sono le cosa che i giovani possono fare qui, non sono molte. Forse anche la boxe, probabilmente lo sport più popolare in città.

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Ogni giorno decine di bambini e adulti si incontrano in palestra: gruppi di ogni età, da un ragazzo piccoletto in calzoncini che non riesce a trovare un compagno per allenarsi perché troppo basso ad adolescenti che sfogano tutta la loro energia contro un sacco da boxe.
La motivazione non manca loro, due di loro, i fratelli Sydorenkos sono riusciti ad arrivare alle Olimpiadi.
A Savva la boxe non piace. Lui ama cucinare e la sera lavora come cuoco in uno dei due club della città. Gli piacerebbe studiare cucina, ma non qui, non nella città nucleare.

“Molti miei amici hanno già inziato a lavorare alla centrale. Si lamentano, per esempio si devono svegliare molto presto la mattina”, ride Savva. “Prendono un bello stipendio e se ne vantano. Ma io preferisco cucinare la club fino a che non lascio questa città”, aggiunge mentre salta una barriera con il suo skateboard.
Questa città è molto giovane per gli standard ucraini. Qualche anno l’età media dei suoi abitanti era 28 anni.

La città fantasma

È molto difficile immaginare cosa potrebbe essere Energodar senza la centrale. Oppure, più precisamente, se sarebbe mai esistita senza la centrale.

Sergei Grigorevich Parykvash lavora ancora alla centrale di Chernobyl. Ha 55 anni e ha trascorso 32 anni della sua vita nella centrale simbolo di un disastro che ha colpito tutta Europa.
Lui e la sua famiglia vivevano a Pripyat, ora una città fantasma dopo l’incidente.

Abbiamo incontrato Sergei nella stanza di controllo del terzo blocco, distante solo qualche metro dal luogo che ancora perseguita l’Europa e l’Ucraina. I livelli di radioattività nella stanza sono normali. I nostri dosimetri iniziano a lampeggiare solo quando ci avviciniamo al corridoio che una volta conducevano al quarto blocco, ora murato proprio a causa della radioattività elevata. Una targa commemora il nome di un vigile del fuoco che morì qui trent’anni fa.

Sergei indossa un lungo camice bianco come i suoi colleghi. È di fronte al pannello di controllo e osserva i quadranti. Non era al lavoro quella notte. “Stavo lavorando con un amico quando abbiamo sentito due esplosioni”, ricorda. Quando sono arrivati alla centrale alle quattro del mattino, hanno subito capito che si trattava di una cosa molto grave. Le protezioni del quarto blocco non c’erano più.

“Dissi a mia moglie di chiudere le finestre, pulire tutto e rimanere a casa con i bambini. La sra mi chiamaro e mi dissero di venire per cercare di fare qualcosa ed evitare il peggio”, dice Sergei.

Quando i primi cadaveri furono estratti dalle macerie e alcuni iniziarono ad avvertire gli effetti delle radiazioni che li avrebbero portati alla morte, la vita a Pripyat andava avanti come se nulla fosse.

“Alcune persone dalla Svezia chiamarono per chiedere se ci fosse stata un’esplosione. Tutti sapevano, tranne chi abitava lì. Vedevo i soldari con le maschere antigas passare davanti a bambini che giocavano in una sabbionaia.”, racconta incredulo.

Trent’anni dopo l’esplosione del reattore di Chernobyl che privò Pripyat del suo titolo di capitale dell’enegia e di punta di diamante dell’Unione Sovietica, Sergei si guarda intorno in via degli Eroi di Stalingrando.

Non ci sono più le rose che furono fatte piantare i bordi della strada per ordine del direttore della centrale di Chernobyl. Gli alberi sono ovunque, le radici hanno spaccato l’asfalto e i rami oscurano la vista. Il silenzio regna, interrrotto solo dal canto degli uccelli.

“Era una città bellissima, la più bella città nucleare che avessi mai visitato” dice Sergei mentre cammina lungo una piscina che sedici anni fa era ancora piena d’acqua. Ora non ci sono più i vetri alle finestre e il fondo della piscina è infestato di piante.

Veniva a nuotare qui in inverno. Se fosse rimasto a Pripyat suo figlio sarebbe solo a un minuto di distanza dalla scuola. Il primo è nato due anni prima dell’esplosione, l’altro un anno dopo. Le stanze, ricoperte di polvere, sono piene di strani oggetti come bambole rotte che giacciono sul pavimento a fianco a maschere antigas per bambini e materiali informativi di fisica che descrivono i diversi tipi di radiazione. L’unico suono distinguibile sono le vecchie porte che il vento fa cigolare.

Non appena Sergei esce il segnale del dosimetro cambia di intensità. Si ferma, non perché sia preoccupato, vuole solo dare un altro sguardo alla casa dove ha vissuto per quasi tre anni.

“Non ho paura delle radiazioni, non ho mai avuto problemi di salute”, confessava quando eravamo ancora alla centrale. “Ma bisogna fare sempre molta attenzione. Quello che è successo qui potrebbe ripetersi ovunque. E dobbiamo fare di tutto per impedirlo”.

Il nono piano è stato saccheggiato, così come il resto dell’edificio. Negli appartamenti sono rimasti solo di vecchi forni, telai di letti, pile di libri, utensili da cucina. Entriamo nell’appartamento di Parykvash e notiamo la tappezzeria strappata, una sedia rotta, un piano. Sergei suona qualche nota e sorride.

Anche gli altri appartamenti sono quasi vuoti. Bicchieri rotti, materassi squarciati, finestre distrutte. C’è un libro di novelle ucraine sul davanzale. Le parole impolverate raccontano la storia di una donna infelice che non voleva rimanere sola.
Una breve frase scoperta in un appartamento di Pripyat riassume tutto alla perfezione: “Oh Dio misericordioso, il mondo è impazzito, l’uomo lascia la moglie per portarsene a letto un’altra”.

Questa storia è stata scritta con il sostegno di CEE Bankwatch Network