Lo stallo politico del Gambia genera un esodo senza precedenti

Oppresso da un’odiosa dittatura, il Gambia è uno dei principali paesi di origine dei richiedenti asilo in Italia. Ma la società civile continua la sua battaglia.

Di Giovanni Culmone

Diasporium e Gainako sono due radio gambiane che trasmettono da fuori il paese. Teranga FM trasmetteva invece dalla capitale del Gambia, Banjul, ma lo scorso 2 luglio il caporedattore è stato prelevato dalla sua abitazione e da allora di lui ufficialmente non si sa più nulla.

Tutti però lo immaginano.

Si chiamava Alage Abdoulage Ceesay e il suo nome è spesso evocato dai giornalisti di Gainako Radio insieme a quello di Solo Sandeng, segretario nazionale dello United Democratic Party, torturato a morte mentre era in custodia cautelare dopo essere stato arrestato per aver organizzato una protesta pacifica lo scorso aprile.

Una voce dalla radio recita una poesia anonima “rifletti sull’implicazione delle tue parole e delle tue azioni/ e apri gli occhi/ ricordati che il mondo/ è come una una palla/ e ruota ogni giorno/ […]/ so che sarai infuriato con me/ e ordinerai di arrestarmi, torturarmi e uccidermi/ ma chiediti perché questo ragazzo sta rischiando tutto questo“. Il destinatario è Yahya Jammeh, presidente del Gambia dal 1994.

Nessuno può scalfire Yahya Jammeh

Flex Dan è un giovane attivista che conduce un programma su Gainako Radio, lo scorso 4
giugno era a Dakar per seguire il 49esimo summit dell’Economic Community of West African States (ECOWAS). Alla discussione Amnesty International ha presentato un report e chiesto la sospensione del Gambia dal tavolo del ECOWAS fino a che “il violento giro di vite” non finirà e “la libertà di espressione” sarà garantita.

Amnesty ha inoltre sottolineato la necessità di una “imparziale, indipendente e trasparente” investigazione sulla morte di Solo Sanding.

Anche l’ONU si è detta preoccupata per la situazione dei diritti umani nel paese. «Sono stato soddisfatto dalla partecipazione ma non dal livello dell’opposizione, potevamo fare meglio» dice con un po’ di rammarico Flex Dan.

La giovane età lo fa essere ottimista sulla possibilità di un cambiamento «l’ECOWAS potrebbe imporre sanzioni economiche per impedire a Yahya Jammeh di fare quello che fa» per poi ripiombare nel realismo più sincero «ma è molto difficile dire a Jammeh di fare qualsiasi cosa».

La risposta del presidente gambiano non si è fatta attendere «Ban Ki-moon e Amnesty International possono andare all’inferno» per poi aggiungere «dove è il problema? È frequente morire durante la detenzione o durante gli interrogatori». L’ECOWAS nei giorni successivi ha declinato la richiesta di sospensione.

Responsabilità dirette di un esodo infinito

Il Gambia è una striscia di terra dentro il Senegal che percorre l’omonimo fiume. La sua popolazione è di poco maggiore a quella di Milano, 1.8 milioni di abitanti. Soltanto lo scorso anno 8123 migranti sono arrivati in Italia attraverso quella che lì viene chiamata “backway”.

Il Gambia, il più piccolo stato africano, è stato nel 2014 il terzo paese per numero di richiedenti asilo nel nostro territorio.

Più del Senegal, diciotto volte più grande, e più del Mali, centosedici volte più grande. Un’intera generazione di giovani sta lasciando il paese.

«Yahya Jammeh sta direttamente contribuendo alla migrazione: continua ad opprimere i giovani e rendere loro la permanenza nel proprio paese difficile» sostiene Flex Dan prima di iniziare un elenco di esempi tra i quali «l’uccisione di 40-60 giovani che protestavano per la detenzione di due compagni, tra cui una ragazza stuprata».

Il governo dovrebbe aver paura di questo esodo che per ora contrasta con striscioni e slogan: “Say No to the Backway”.

Il pugno di ferro del presidente

Anche Flex Dan è fuggito. Con il pretesto dello studio si è costruito una nuova vita a Londra, dove combatte il regime dall’estero. Nonostante il suo impegno quotidiano nella radio e la fervida attività sul web è consapevole del fatto che «il cambiamento deve arrivare dall’interno del paese, noi possiamo aiutare a creare le condizioni e mettere pressione al
regime».

L’opportunità ci sarebbe: le prossime elezioni di dicembre.

Ma il giovane attivista non ha dubbi «le elezioni in Gambia sono una farsa e servono soltanto a legittimare Yahya Jammeh». Il presidente, per non avere sorprese, oltre ad aver istaurato nei media “un pervasivo clima di terrore” (Reporters Without Borders) ha anche imposto una tassa di 500,000 dalasis (circa €11.320 in un paese dove la media di reddito annuale è di €400) per chiunque si volesse candidare.

Il presidente è lui una volta/ è lui due volte/ è lui tre volte/ è lui quattro volte/ così si arriva alla dittatura” con poche parole il cantante ivoriano Alpha Blondie descrisse uno scenario spesso comune in Africa. Il governo gambiano non fa eccezione.

Yahya Jammeh si è fatto conoscere anche per la sua retorica sprezzante. Nel 2007 disse di poter curare l’AIDS con erbe e banane. Nel 2014 chiamò gli omosessuali “animali infestanti” che il governo avrebbe trattato come le zanzare che portano la malaria. Lo scorso dicembre il presidente ha dichiarato deliberatamente il Gambia “Stato Islamico”.

L’ultimo attacco risale allo scorso giugno quando ha affermato che schiaccerà i Mandinka (il più numeroso gruppo etnico in Gambia) come formiche.

Quelle di Yahya Jammeh non sono solamente bizzarre esternazioni e le opposizioni lo sanno bene.

«Il Gambia è l’unico paese dell’ECOWAS che è drasticamente regredito per quanto riguarda la governance e lo stato di diritto» questo è quanto dichiarato dalla società civile (WACSOF) e dai gruppi che tutelano i diritti umani.

«Ma non possiamo arrenderci», in un misto tra rabbia e desolazione Flex Dan racconta di una mamma rinchiusa in carcere con il suo bambino di un mese «quando sono usciti il bambino aveva segni sul corpo». La colpa era quella di aver preso parte a una protesta.

«Questo è quanto può essere inumano il governo del Gambia e noi non possiamo dire che non si può fare nulla».