La mia Granada

In questo tempo estivo vi racconteremo brevi note di viaggio, incontro, vita vissuta in una città che ognuno di noi ha scelto per i più diversi motivi. Oltre le guide turistiche, dentro strade e su muri, nelle piazze e in piccoli ricordi.

di Sara Marchesi

La mia Granada è una città dalla bellezza elegante e discreta, che non rivela facilmente e sfacciatamente la sua intimità all’ospite ignaro. Nonostante la grandiosità dell’Alhambra – dall’arabo al-Ḥamrā, “la Rossa”, che insieme alla Moschea di Cordoba (o cattedrale dell’Immacolata Concezione di Maria Santissima in Cordova che dir si voglia) rappresenta probabilmente il più spettacolare esempio d’incontro tra al-Andalus, la Spagna islamica, e la Spagna cattolica – l’abbia resa famosa nell’immaginario collettivo, solo a chi voglia realmente penetrarne il cuore e comprenderne l’identità Granada svelerà i suoi più intimi segreti.

Accedendovi da Plaza Neptuno, una volta percorso il lungo e in estate arso dal sole Calle Recogidas e sbucati in Calle San Antòn, ci si ritrova nelle grande via dello shopping, che ben poco si discosta per stile architettonico e brand da quelle che possiamo trovare un po’ in tutte le nostre grandi città; se poi si ha per le mani una qualsiasi guida turistica, si verrà immediatamente indirizzati alla cosiddetta “via delle tapas”, Calle Navas, composta da una miriade di tapas bar dalla ormai discutibile tipicità con i loro giovani camerieri che cercano di richiamare l’attenzione dei passanti. Ma Granada non è una città che possa essere scoperta attraverso le pagine di una comune guida turistica, o meglio, esiste una Granada che non è, e probabilmente non può, essere raccontata in quelle pagine.

Proseguendo lungo Calle Reyes Católicos, si arriva finalmente a Plaza Nueva, un primo polo dove l’occhio attento coglierà da subito alcune specificità, che qualcuno potrebbe chiamare contraddizioni, ma che in ogni caso rappresentano una prima espressione della vera anima della città andalusa.

Dal perimetro approssimativamente pentagonale, la piazza ospita la facciata principale del palazzo della Real Chancillería, edificio manierista costruito tra il 1531 e il 1587, mentre parte del suo confine è incorniciato dagli alberi del bosque de Gomérez, uno dei tre che formano il bosco dell’Alhambra. Plaza Nueva può considerarsi l’introduzione all’Albaicín, il quartiere più antico di Granada, anzi, il nucleo centrale da cui il suo sviluppo ha avuto inizio.

Questa piazza rappresenta, potremmo dire, uno spartiacque: il turista senza troppe pretese troverà qui un paio di agenzie che organizzano tour di ogni tipo – dalle passeggiate alla scoperta dei quartieri antichi ai più grotteschi trenini e mezzi di trasporto motorizzati vari –, tapas bar più o meno autentici e piacevoli, nonché la via d’accesso al mercato marocchino con i suoi negozietti, teterie e shisha bar e facilmente troverà tutto ciò che stava cercando, e forse anche di più.

Come dicevamo, tuttavia, l’osservatore sensibile capirà immediatamente che questa non è che il preludio alla vera Granada. Se si sale una delle brevi scalinate della piazza, che immettono direttamente al quartiere ebraico, ci si siede ai tavolini di uno dei bar rialzati dai quali si possono ammirare le geometrie irregolari che si sono sviluppate intorno alla Carrera del Darro (uno dei corsi d’acqua che, insieme al più imponente Genil, bagna la città) e si ordina una caña da poco più di 1 euro – che viene sempre accompagnata da una tapa, perché Granada è una città talmente ospitale da non lasciare mai nessuno, per quanto squattrinato, a pancia vuota –, nel giro di pochi istanti ecco che, immediatamente e uno dopo l’altro, diversi artisti di strada per lo più aficionados della chitarra andalusa si susseguiranno facendo a gara per diventare la colonna sonora dei tuoi ricordi della città. Granada è infatti una delle mete principali di artisti e artigiani ambulanti che vivono perlopiù in strada o in qualche casa occupata nella parte più antica dell’Albaicín o del Sacromonte.

Non è quindi difficile, arrivando in Plaza Nueva, imbattersi in gruppi anche piuttosto nutriti di giovani (ma non solo) di diverse nazionalità che bivaccano sui marciapiedi e sulle scalinate, creando uno strano connubio con i nutriti gruppi di visitatori in fila dietro alle loro guide turistiche: un primo incontro tra due stili di vita totalmente opposti ma che non si scontrano, fatta eccezione per qualche critica o presa in giro non troppo serie ai gruppi che si avventurano, cappellini e macchine fotografiche, nel cuore dell’Albaicín e fin sul Sacromonte.

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E sono proprio questi i luoghi che, una volta raggiunti, ti fanno pensare di non aver mai visto nulla di più poetico, di una bellezza tale da lasciare letteralmente senza parole, ma tutt’occhi.

Superato il Paseo del los Tristes – che di triste sembrerebbe avere ben poco e che deve il nome al fatto che da qui è tradizione far passare i cortei funebri – ci si infila all’interno degli stretti viottoli che compongono l’antico quartiere moresco e raccontano la storia di una città che, nonostante le battaglie che sono state combattute per possederla, sembra essere rimasta totalmente autonoma nel suo elegante splendore, prendendo un po’ da tutti e non cedendo mai a nessuno.

Ogni angolo, ogni scorcio incanta lo sguardo, tanto che quasi non ci si rende conto di aver percorso tutta la salita che porta al Mirador de San Nicolás, giusto in tempo per vedere il sole tingere di un rosa sempre più acceso le mura dell’Alhambra sorseggiando un’altra caña e accompagnati dal gruppo di giovani gitani che deve aver ottenuto l’esclusiva per gli spettacoli serali di flamenco e chitarra andalusa sul belvedere.

E se ancora non si è stanchi – e credetemi, non si è mai troppo stanchi di camminare per i vicoli di una città che a qualsiasi ora del giorno e della notte riserva soprese di ogni tipo –, si può proseguire circondando l’Iglesia de San Nicolás e attraversando la Puerta de las Pesas, la più antica di Granada. Imboccando Calle Panaderos, dove si dice si sforni il miglior pane della città perché qui scorrerebbe l’acqua più pura, si giungerà quindi al Camino del Sacromonte.

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Uno dei sei rioni che compongono l’Albaicín, situato ai margini orientali della città, il Sacromonte è il quartiere dei gitani, dove questi sono stati confinati dopo la Reconquista, ai tempi insieme alla comunità araba e a quella ebraica, la quale oggi ha ritrovato un proprio posto nel centro cittadino. Qui si dice sia nata la zambra, il flamenco dei gitani granadini, ed è infatti facile imbattersi in locali e tabanchi dove la sera è possibile assistere a spettacoli dal vivo, spesso improvvisati e molto diversi da quelli organizzati per i turisti nei locali del centro, con la compagnia, di nuovo, di una birra ghiacciata.

Il Sacromonte deve tuttavia il suo fascino unico soprattutto alle grotte, le abitazioni scavate nella roccia a partire dal XVI secolo dai gruppi etnici espulsi dal centro cittadino. Oggi, le grotte sono quasi tutte abitate dai loro discendenti, i quali per non abbandonare queste abitazioni che con la loro temperatura costante di 20 gradi centigradi si dimostrano ideali sia d’estate che d’inverno, le hanno ampliate annettendo nuovi volumi al fronte su strada, così da nascondere l’originario accesso nella pietra e dando vita a un alternarsi di facciate autocostruite negli stili più svariati e comunque tra loro armonici.

Anche qui, è impossibile descrivere a parole la vista sull’Alhambra e sulla Sierra Nevada, che si può osservare a perdita d’occhio.

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Granada, città forte e raffinata, fiera e ospitale, dall’identità unica e meticcia che dall’incontro e dallo scontro tra culture è stata in grado di creare una fusione armoniosa di forme, colori, suoni e sapori, ma anche di modi di vita; non ci si sente mai stranieri a Granada, a meno che non lo si voglia.