La Siria brucia

Daesh e la morte della primavera araba secondo Charles Glass

di Christian Elia

Dopo L’ascesa dello Stato Islamico, di Patrick Cockburn, le edizioni Stampa Alternativa continuano a riflettere sul ruolo di Daesh nel complesso (ed esploso) mosaico mediorientale con un libro di Charles Glass.

Giornalista veterano della regione, rapito nel 1987 in Libano e tenuto in ostaggio per due mesi, Glass si concentra – come in una staffetta con Cockburn, che scrive l’introduzione – con il versante siriano del sedicente stato, tanto quanto prima si era parlato di Iraq.

Le analisi di Glass, che ha seguito l’evolversi della rivolta scoppiata nel 2011, sono in linea con quella che è ormai diventata la lettura maggioritaria del conflitto, escludendo quelle dei fanatici, dei complottisti e delle parti in causa.

La legittima aspirazione libertaria di un popolo intero, abituato a soggiacere a una dittatura violenta, è stata via via esautorata dagli interessi di potenze e potentati locali, fino a diventare una macelleria dalla quale non si immagina come venir fuori.

Quel che deprime, però, di queste analisi è che – pur riconoscendo il livello di violenza del regime degli Assad – arrivano quasi sempre a sostenere un ‘meno peggio’, rappresentato dal mantenere al potere l’attuale regime, a fronte di un’orda barbara che va fermata a ogni costo.

Nessuno lo mette in dubbio, ma non ci si ferma mai abbastanza a valutare come sia stata tradita quella aspirazione, di come dubbi e divisioni abbiano abbandonato al loro destino milioni di siriani, e di come questa situazione in fondo va benissimo al regime. Ecco, sulla genesi di Daesh sarebbe onesto valutare anche questo aspetto.

Grass, come Cockburn prima di lui, su questo passaggio vola via veloce. Questo però non toglie interesse a un testo che comunque ha il pregio di offrire una ricostruzione storica della vita politica in Siria dalla fine dell’Impero Ottomano a oggi.

Iniziando da una storiella. Quella del cane libanese che, affamato, parte alla volta della Siria. Torna, rimpinguato, raccontando agli altri cani quanto si vivesse bene in Siria, dove non mancava nulla. E allora gli viene chiesto perché mai avesse deciso di tornare. “Avevo voglia di abbaiare”. Ecco, una polaroid ironica e amara della vita dei siriani.

Che di loro, a ribellarsi, non son di certo nuovi. Partendo dalle insurrezioni post Impero Ottomano, fino al feroce confronto con il mandato francese che, come sempre nello stile di Parigi, trattava la regione come una vera a propria colonia.

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E siamo ancora qui, a chiederci come mai non riusciamo proprio a raccontarci la stessa storia. Perché i tradimenti e le violenze del regime francese, ad esempio, sono ferite ancora aperte, che hanno prodotto (assieme alla politica britannica nella regione) danni enormi. Ai quali, poi, si son sommati quelli statunitensi.

La rivolta del 1925, secondo Glass, e non ha tutti i torti, ricorda per certi versi quanto accaduto nel 2011. Si chiedeva poco, si chiedeva la punizione di un governatore locale (parente del presidente Assad) che ha torturato dei ragazzini per delle scritte su un muro.

Da una mancata punizione (che all’epoca della rivolta del 1925 era stata chiesta per la mancanza di rispetto alla sacralità della casa di un notabile) è seguita una sollevazione, soffocata nel sangue in maniera violenta e sproporzionata.

Con l’influsso di potenze e potentati. Aihmé i parallelismi finiscono qui: mezzo milione di morti, milioni di profughi e un paese a pezzi sono un’eredità senza precedenti nella storia. Anche se la storia, quella del Medio Oriente almeno, la stanno cambiando. Solo che non si sa in che direzione.