shirin bashur 14.

Frammenti di Kurdistan

di Linda Dorigo

La casa rossa ai piedi della montagna è il punto di appoggio per chi va in visita al Pkk. Circondata da galline e cavalli, a pochi metri dalla perpendicolare rocciosa, la baita è una favola senza neve. Due bambini aprono la porta. Dentro il combattente Balian e una donna in cucina. Una folata di riso si appiccica alla pelle. Sopra la porta d’ingresso una ciocca di capelli appesa.

Mi ricorda la madre di un amico che ancora conserva i suoi denti da latte. Il fratello più grande armeggia con la tv, brucia un fusibile ma nessuno se ne accorge. La famiglia viene dalla regione del Khorasan iraniano. Sono scappati e hanno nostalgia dei loro campi di zafferano.

Verso gli accampamenti la boscaglia diventa fitta e nasconde i movimenti delle truppe agli aerei turchi che bombardano la zona. Arrivati alle tende guardo Balian fumare una sigaretta.

È alto, carino, asciutto. Scambio la famiglia della casa rossa per sua: “Noi combattenti non abbiamo legami affettivi” – precisa -. Nella filosofia del leader del Pkk Abdullah Öcalan l’amore non è contemplato. Per conquistare la libertà bisogna osservare disciplina e rigore morale, non sono ammesse strategie personali.

Se è vero – come scrive Öcalan – che l’ideale può realizzarsi solo nella libertà, allora la rivoluzione passa prima dall’indottrinamento. “Non mi sono mai innamorato” balbetta il giovane. “Quando saremo liberi tornerò a casa ma adesso c’è bisogno di me qui”. La mia guida ha lasciato la città di Agri, in Turchia, a 17 anni. Oggi ne ha 29.

Il vecchio passaporto turco è carta straccia. Se tornasse lo arresterebbero. Ma la sua vita radicale lo porterebbe nei guai ovunque. Impossibilitato a viaggiare, non gli restano che le montagne.

Alle dieci di sera dormono tutti, tranne dal comandante Seyedkhan dove la televisione, alimentata da un piccolo generatore, trasmette un film americano degli anni ’80. Si discute di vecchie ricette persiane, di cibo genuino come il pane, di chi sia più bravo a fare il tè, se i turchi o gli iraniani. “Amiamo questa vita naturale – dice il comandante – siamo gente di montagna e le montagne ci hanno sempre protetto. Non abbiamo altre armi che le nostre montagne”.