Waffle Street

Cosa succede se un enfant prodige della finanza si trova a lavorare per una catena di tavole calde? La recensione di Waffle Street, ora disponibile su Netflix

Di Clara Capelli

James “Jim” Adams è nato per lavorare nella finanza. La sua carriera tra business school e fondi di investimento di Wall Street è folgorante. Fino a quando, in piena crisi economica, viene licenziato per alcune sue sciagurate operazioni finanziarie. “Ma come potevo raggiungere gli obiettivi che mi avevate fissato senza ricorrere ai derivati?”, protesta Jim di fronte ai suoi capi, smarrito perché quanto ha fatto era perfettamente legale, “e ciò che è legale non può non essere etico”, come gli hanno sempre insegnato.

Il film Waffle Street, ora disponibile su Netflix, è ispirato a una storia vera raccontata nel libro autobiografico Waffle Street: The Confession and Rehabilitation of a Financier. Il giovane americano di belle promesse si trova a dover ripartire da zero. Deluso e disgustato dal mondo della finanza, decide di cercare un nuovo impiego nell’economia “reale”, un lavoro manuale e che costi fatica, seguendo così l’esempio del padre e del nonno.

Peccato che Jim, decisamente un “colletto bianco”, non abbia alcuna idea di come funzioni il Paese reale, quello dei “colletti blu”.

Il genietto dei numeri si troverà a frequentare corsi di qualificazione professionale con persone che non hanno mai visto un computer nella loro vita; presenterà il suo cv ben impaginato a un meccanico messicano che non parla una parola di inglese, molto probabilmente immigrato illegalmente negli Stati Uniti; ripeterà diligente le parole chiave su flessibilità e motivazione a un “colloquio di lavoro” con un falegname a dir poco perplesso.

La ricerca di Jim finisce alla catena di tavole calde Papa’s Chicken and Waffles, simbolo per eccellenza dei cosiddetti McJobs, impieghi precari e mal pagati, soprattutto nei servizi a basso valore aggiunto. Il lato nascosto di un’America di cui spesso vediamo solo i luccichii. Fra i suoi colleghi figurano ex detenuti e ragazze madri, stupiti di fronte a quello strano ragazzo che si presenta al lavoro con una macchina costosissima e scarpe fatte su misura, straordinariamente abile alla cassa ma incapace di portare più di un ingrediente alla volta alla cucina, “perché in economia si fa così”.

Waffle Street è una divertente commedia che ci riporta col sorriso alle drammatiche condizioni dei tanti perdenti del sogno americano, quelli che mangiano junk food, arrivano con fatica alla fine del mese e addirittura si sposano nella tavole calde. È anche una riflessione amara sull’ossessione del nostro tempo: quella di trovare un lavoro.

I colletti bianchi si dannano tra corsi di laurea quanto più prestigiosi possibili, curricula impeccabili e discorsetti da riproporre a ogni colloquio, tutti alla ricerca dell’impiego dei sogni che in fondo dia un senso alla loro esistenza. I colletti blu si accontentano di quello che trovano, nell’illusione che il corso di formazione tenuto da un insegnante svogliato o il ridicolo manuale motivazionale scritto dal titolare ma preso così seriamente diano loro una qualche possibilità di avanzamento.

A poco più di un mese dalle elezioni presidenziali statunitensi, impossibile non chiedersi chi fra i personaggi voterebbe per Donald Trump, chi per Hillary Clinton, chi, magari, avrebbe preferito Bernie Sanders.