Che fine ha fatto mio nipote?

Come ogni anno, settembre è stato il “mese dell’identità” per le centinaia di bambini argentini, oggi uomini e donne, che tra il 1976 e il 1983 furono sottratti a famiglie di dissidenti

Di Luciana Talamonti

 

Il mio nome è Luciana Talamonti. Sono nata nella città di Rosario il 28 dicembre del 1976. Ho 39 anni.

Sono figlia di Edith Rosario Ana Bendicente e Luis Cesar Talamonti.

Posso dirlo perché so chi sono.

L’appuntamento è ora, fino a trovare l’ultimo e l’ultima nipote.

Settembre, Mese dell’Identità.

Condividiamo così tra tutte ci troviamo!

#TiStiamoCercando

 

Così è il post che gira sui social network (che ogni argentina/o miei coetanei completa coi propri dati). A volte gli italiani fanno fatica a capire e quindi approfitto dell’occasione per cercare di sensibilizzare al riguardo. Innanzitutto dobbiamo ritornare agli anni tra il 1976 e il 1983, anni della dittatura militare in Argentina. Il governo era composto da cattolici di estrema destra che avevano un obiettivo preciso: estirpare il seme della sovversione che stava nascendo. E il migliore modo di farlo era per loro educare i bambini che nascevano nelle famiglie oppositrici del regime. Inizia così il furto dei bambini dei militanti di opposizione per darli in adozione a famiglie di militari o conniventi con loro.

Questo caso storico mi tocca molto da vicino, io sarei potuta essere una di loro. Il periodo, perfetto: sono stata concepita quando iniziò la dittatura nel mio paese. E anche il contesto era a rischio: i miei militavano in modo non armato contro di essa.

Quando ho saputo di questi ragazzi della mia età che avevano scoperto da adulti di aver vissuto amando come genitori quelli che in realtà erano conniventi con gli assassini dei loro genitori biologici, ho sentito che avrei voluto conoscerli o fare qualcosa. Non sono riuscita, ma forse questo potrebbe essere un inizio.

Prendo un esempio dal sito www.abuelas.org.ar: il caso del nipote della Abuela de Plaza de Mayo (nonna di piazza di Maggio) di Córdoba, Sonia Torres. Sua figlia, Silvina Mónica Parodi, fu sequestrata il 26 marzo del 1976 insieme a suo marito Daniel Francisco Orozco. Silvina, di 20 anni, era incinta di sei mesi e mezzo. Daniel fu torturato e sarebbe stato assassinato pochi giorni dopo. Silvina soffrì la stessa pena che toccò a centinaia di giovani incinte: la mantennero in vita fino alla nascita del bimbo per poi rubarglielo, e non si seppe più nulla di lei.

Dichiara la presidenta delle nonne Estela de Carlotto. “È chiaro che qui c’è stato un piano sistematico di furto di bebè. Un piano perfetto. Mia figlia Laura l’assassinarono due mesi dopo aver partorito mio nipotino. Lo cercammo per 36 anni e lo abbiamo trovato, il che dimostra che i nipoti ci sono e che sono desaparecidos (scomparsi) vivi”. Carlotto accusa il Movimento Familiare Cristiano “gli ordini erano lasciare che la giovane avesse il figlio, ammazzarla e far finire il bimbo da qualche parte”. Ci sono stati settori della chiesa coinvolti nella consegna dei bambini. A volte erano militari, ma anche civili. “A volte – prosegue Carlotto – civili innocenti che pensavano di stare adottando un bebè abbandonato da quelle suorine, che per una incomprensibile interpretazione della fede religiosa, tuttora rifiutano di confessare dove sono finiti i nipoti consegnati”.

Le nonne di Piazza di Maggio prendono il nome, come le mamme, dalla storica piazza dove le madri dei desaparecidos iniziarono a manifestare anche durante la dittatura e continuano tuttora, per chiedere il ritorno dei figli fatti sparire dal terrorismo di Stato. Hanno sempre cercato i loro nipoti, che sapevano essere vivi dal racconto di alcune detenute sopravissute. Col tempo hanno creato una banca dati di DNA che è stata sovvenzionata dal governo precedente e che ha aiutato i 120 nipoti che avevano dubbi sulla propria famiglia a ritrovare la propria identità. Ma il recupero non si ottiene legalmente soltanto con le prove genetiche: bisogna fare un processo contro gli “appropriatori” per poter riavere il proprio cognome. José Luis Maulín da sette anni che, pur sapendo la sua vera identità, è obbligato a tenere il cognome dell’appropriatore. Segretín – questo il suo vero nome – dichiara di essere vittima ancora di un delitto fatto 38 anni fa, ma che si ripete ogni giorno.

Ancora mancano circa 400 nipoti da recuperare ma l’attuale governo argentino ha smantellato a maggio di quest’anno l’organismo pubblico che contribuiva alle identificazioni. Le nonne denunciano lo smembramento del Gruppo Specializzato in Assistenza Giudiziale (GEAJ), creato su loro richiesta per collaborare con l’estrazione di campioni di DNA per via giudiziale, che permettono l’identificazione dei loro nipoti. (Fonte: www.enorsai.com.ar)

Questo gruppo specializzato nella collaborazione con la Direzione dei Diritti Umani del Ministero della Sicurezza era composto di civili coinvolti con il Comitato per la Memoria, la Verità e la Giustizia ed era stato creato per togliere alle forze di sicurezza il compito di prendere il DNA e identificare giuridicamente i nipoti, figli di desaparecidos. In molti casi, infatti, le forze dell’ordine agivano in complicità con gli appropriatori, falsificando i dati in modo da rendere impossibili le restituzioni. Alla fine del 2014 fu condannato l’ufficiale di Polizia Adolfo Porcel, colpevole di avere falsificato nel 2005, in complicità con l’ex agente e appropriatore, Víctor Enrique Rei, i dati raccolti nella restituzione del nipote Alejandro Pedro Sandoval Fontana.

Oltre alle nonne ci sono i FIGLI, che nel proprio sito ufficiale H.I.J.O.S. (Hijos e Hijas por la Identidad y la Justicia contra el Olvido y el Silencio, ossia Figli e Figlie per l’Identità e la Giustizia contro l’Oblio e il Silenzio, www.hijos-capital.org.ar) si definiscono così: “Dal 1995 partiamo dalla motivazione di raggrupparci, rivendicare la lotta dei nostri genitori, madri e loro compagni, cercare i nostri fratelli appropriati, lottare contro l’impunità. Dopo oltre 18 anni, continuiamo a lottare per il carcere comune, perpetuo ed effettivo per tutti i genocidi dell’ultima dittatura civico-militare, i loro complici, istigatori e beneficiari”.

H.I.J.O.S. esiste in tutto il paese e inoltre ha sedi locali in 16 città fuori dall’Argentina. È composta da figli di detenuti-desaparecidos, assassinati, ex prigionieri politici, esiliati, ex detenuti-desaparecidos. Ne fanno parte anche persone che senza avere sofferto nella propria famiglia la repressione diretta dell’ultima dittatura comprendono di essere tutti figli di una stessa storia.