Spagna. Più spine che petali per la rosa socialista

Pedro Sanchez ha rassegnato le dimissioni da segretario generale del Psoe. Un sabato convulso in Calle ferraz, sede dei socialisti a Madrid, ore di duro scontro per arrivare a un voto per alzata di mano del Comité federal del partito: 133 contro e 107 a favore delle proposte del segretario. Il secondo partito di Spagna nel caos.

di Angelo Miotto
@angelomiotto

Pedro Sanchez ha perso. Alla fine hanno vinto i poteri forti, quelli che si ammantano anche di ideologie, ma sono superiori agli schieramenti, quelli che si curano del potere e degli assetti, che sono classe dominante.

L’ex segretario del Psoe se ne è andato a testa alta, la sua linea di non voler favorire un nuovo governo Rajoy, il suo avversario del Partido popular, gli è costata cara, così come il fatto di giocare la carta di un congresso straordinario, annunicato all’indomani delle sconfitte elettorali in Galizia e Paese Basco. Che a detta di Sanchez avrebbe dovuto ridare forza alla sua leadership, quindi parlare con una sola voce, e rafforzare la sua proposta per un nuovo tentativo di governo alternativo.

Che la linea di Sanchez fosse debole, così come lo è il partito, è un dato di fatto. Indebolita da troppi anni di abbandono di politiche e comportamenti coerenti, fatta eccezione per le fiammate del primo governo Zapatero. Però in questa vicenda che sta squassando il secondo partito di Spagna (vedremo per quanto tempo secondo) ci sono degli elementi interessanti che riguardano gran parte del gioco politico europeo e non solo spagnolo.

Grandi coalizioni o assicurare il successo al governo avversario.
Il palazzo e non la piazza ha voluto indebolire il segretario, su una posizione identitaria che non gli permetteva di andare a fare accordi con il centro destra. Con Rajoy no, ha sempre detto Sanchez, che proprio con Mariano Rajoy ebbe uno scontro durissimo durante la campagna elettorale della prima delle due  ultime votazioni. Un corpo a corpo dove il tema della corruzione fu centrale.
I baroni del Psoe, la nomenclatura interna, fomentata dal padre nobile Felipe Gonzalez, non lo hanno tollerato. Il punto è più che mai chiaro: le ragioni della cosiddetta stabilità, governabilità di un Paese vengono utilizzate per creare delle unioni contro natura, fra presuppoti e politiche non diverse, ma opposte. certo nel corse dei decenni si sono avvinate e molto, soprattutto con una erosione costante e violenta nelle formazioni progressiste. La stabilità in genere viene associata alla capacità di essere autorevoli in campo di rappresentanza internazionale e per il benessere dei mercati. Anche se la buona leggenda, comrpvata da fatti, dice e sorridiamone pure che senza governo i dati spagnoli sono migliorati. Al di là delle battute, c’è una incapacità di fare sintesi di un voto che soffre della fine del bipartitismo in maniera evidente, mentre sule questioni della territorialità e diritto a decidere si spaccano possibili alleanze.

Militanti o baroni: chi comanda?
La forma partito, già data per morta e sepolta, ieri ha dimostrato in Calle Ferraz una volta di più di essere uno stuemneto di sintesi infedele, in una burocrazia e mosse statutarie che sono esattamente il contrario di quello che si sta chiedendo a gran voce nelle piazze spagnole da diversi anni ormai. Gli equilibri di potere interni hanno prevalso su un calendario azzardato e quasi impossibile proposto da Sanchez, che però, a ben vedere, era l’unica cosa da fare: chiedere ai propri militanti in nuove primarie quale voce e quali parole parlare e usare di fronte all’impasse istituzionale e di governo.

Fuoco amico. O nemico.
El Pais, primo quotidiano di Spagna e fra i più blasonati a livello internazionale era piuttosto imbarazzante da consultare in questi giorni. Più che un’abile fioretto, una pressione decisa, ma calibrata è parso essere una clava primitiva da percuotere con forza e in maniera anche discretamente ossessiva contro il personaggio e non contro le sue politiche. Pessimo esempio di stile, voluto dagli editori del gruppo Prisa, in pieno accordo con il vecchio padre nobile Felipe Gonzalez.

Una questione di sostanza.
Quindi hanno vinto i baroni, sostenuti dalle sovrastrutture di una elite di classe non dirigente, ma dominante, mentre difficilmente sapremo cosa avrebbero detto i militanti. Chissà: forse avrebbero bocciato le velleità di Sanchez, oppure avrebbero dato un segnale di forza e di identità. Perché c0’è chi pensa, passando da paladino della patria, alla governabilità di un Paese e di c’è anche chi, però, fa i conti con la propria dignità e non disdegna di stare all’opposizione nel nome dei suoi ideali, o di arrivare a terze elezioni. Sempre che si sia in grando di modificare la proposta elettorale, altrimenti si va a fotocopia e questo riguarda non solo i socialisti.

C’è, nella notizia, tutto l’odore di naftalina di strutture ormai anacronistiche, di concetti martellati sulle nostre povere teste, il sussiego che ci stanno imparando a portare verso la finanza padrona e uno scomposto utilizzo della stampa, anche qui con la presunzione di fare opinione.
La rosa socialista sanguina. Da tempo. Oggi ha più spine che petali.