Ungheria, la sconfitta di Orbàn

Ma resta saldamente al comando, nonostante il referendum sulle quote rifugiati e le polemiche

di Alessandro Grimaldi, da Budapest

Il 2 ottobre si è tenuto il referendum consultivo promosso dal governo sulle quote rifugiati in Ungheria. E il governo del premier Orbàn lo ha perso. Indiscutibilmente. Ma davanti alle telecamere, nelle prime dichiarazioni sui risultati (ma i giornalisti li ha lasciati al piano di sotto, niente domande please), con alle spalle tutto il suo stato maggiore, ha parlato di risultato grandioso.

Eppure ha perso. Ha perso nei numeri innanzitutto, e non di poco. Il referendum sarebbe stato valido se il numero dei votanti avesse raggiunto il 50 per cento più uno degli aventi diritto. Il dato ufficiale è 39.88 per cento. Molto meno, traguardo neanche sfiorato. Non certo il 98 per cento di elettori.

Una percentuale che è poi solo all’interno delle schede valide. Ma in un referendum in cui tutte le opposizioni han chiamato all’astensione, è un dato che ha poco significato. Si vinceva o perdeva con il quorum e basta. Ma Orban ha perso soprattutto politicamente.

Orban e il suo governo praticamente non si occupa d’altro che di migranti, muri, quote da oltre un anno e mezzo, da marzo 2015 fino a questo referendum, annunciato mesi e mesi prima, con un dispiegamento di mezzi impressionante. La gente si è semplicemente stancata di questa interminabile campagna per la quale sono stati spesi 10 miliardi di fiorini (30 milioni di euro).

Si è occupato di migranti, un problema sicuramente epocale, ma lontano dalla vita quotidiana della gente, che qui i migranti proprio non li vede e nessuno è rimasto o voluto rimanere. E si è praticamente dimenticato dei veri problemi del paese, inimicandosi fasce importanti della società: gli insegnanti, i pensionati, chi lavora nella sanità. Non è poco.

La manifestazione più grande, lunga e colorata di chiusura campagna delle opposizioni è stata quella dei movimenti civili (come si chiaman qua) di queste categorie.

Orban ha cercato di conquistare Jobbik (il radicato partito di estrema destra ungherese) e i suoi elettori, senza successo. Pure su un tema su cui andavano più che d’accordo. Vona Gabor, leader di Jobbik, invece, si è semplicemente eclissato in questi mesi. Il 6 per cento che manca per il quorum alle urne, probabilmente, viene tutto da lì.

Ha sbagliato anche nella pura tecnica politica: con la nuova Costituzione che, ottenuta la maggioranza qualificata in parlamento, ha fatto subito approvare, ha reso molto più difficile l’utilizzo dello strumento referendario, aumentando il numero di firme necessario (ma questo è nato su iniziativa del governo) e portando il quorum ben sopra il 50 per cento reale (anche i voti nulli non contribuiscono a raggiungere il quorum).

Salvo poi ricordarsi che dare la parola ai cittadini ogni tanto è importante, specie quando vuoi parlare in nome della gente.
E si è dimenticato come si fa una campagna elettorale. Ha sparato tutte le sue armi più potenti, mirando a far affiorare le paure di un popolo a luglio – agosto, ed ha finito con semplici bandiere nazionali e la scritta Votiamo no.

Tanto che il sostegno al referendum è calato pian piano nelle ultime 2-3 settimane. Mostrando tutto l’affanno in una disperata rincorsa con spot TV last minute: “Amo l’Ungheria e vado a votare” e sms ai normali cittadini fino a un’ora prima della chiusura dei seggi.

Orban è da trenta anni in politica, sempre lì, ha vinto e ha perso elezioni, ha vinto e perso referendum, ha avuto grandi rivali, non si è mai arreso, ha sempre rilanciato la sua battaglia il giorno dopo la sconfitta.

Certo per questo referendum ha mobilitato molti cittadini, più dello zoccolo duro di Fidesz, il suo partito, tre milioni di voti non sono pochi, è ancora il politico più popolare e carismatico, in Parlamento può contare su quasi i 2/3 dell’assemblea, mentre l’opposizione è pezzi.

Se Orbàn ha perso, sicuramente l’opposizione non ha vinto, se si votasse oggi vincerebbe lui di nuovo le elezioni, a mani basse, ma questo referendum, al di là di tutto, lo ha perso.