Il terrorismo spiegato ai ragazzi

Come parlare ai più giovani del radicalismo islamico? Un libro racconta il mix tra ragioni antiche e interessi di potere che mutano di giorno in giorno

di Cecilia Tosi

Il 2017 sarà il cinquantesimo anniversario dell’occupazione israeliana di Gaza e Cisgiordania. La guerra del ’67 è così lontana che solo i palestinesi di mezza età se la possono ricordare, e l’incontro di questi giorni tra il premier israeliano Nethanyahu e la sua controparte Abu Mazen è una notizia rimasta confinata dentro il Palazzo di Vetro. Adesso i leader mondiali pensano che non ci voglia un accordo di pace tra arabi e israeliani per prendere un nobel, ma una vittoria contro il terrorismo, specie se si fa chiamare Stato islamico.

Peccato che le due guerre non siano slegate e che in Medio Oriente i problemi contingenti vengono affrontati come se fossero indipendenti dalla storia e dalla politica di potenza.

Invece Bin Laden, come tutti i suoi seguaci, hanno sempre giustificato la loro lotta contro gli infedeli sventolando davanti agli occhi delle popolazioni musulmane le ingiustizie subite dai palestinesi in Terra Santa. E la spartizione del Medio Oriente che ha dato vita a Israele è la stessa che ha creato quei confini che hanno scontentato tutti i popoli dell’area e creato i germi delle guerre di oggi. Si combatte per motivi che poco hanno a che fare con la religione, ma una certa interpretazione della religione viene sfruttata dai terroristi per alimentare l’odio verso chi la pensa diversamente da loro.

Sono questi i ragionamenti che ho fatto quando ho iniziato a scrivere Il terrorismo spiegato ai ragazzi (Imprimatur). Se noi adulti non ci ricordiamo l’origine delle divisioni attuali come faranno a conoscerle i giovani? Se chi legge i giornali tutti i giorni fa fatica a collegare i ribassi del prezzo del petrolio con la guerra all’Isis come farà a spiegare le cause del terrorismo ai propri figli?

Non si tratta di rassicurarli sulla vittoria dei buoni sui cattivi, ma di far capire loro che il terrorismo è di per sé una sconfitta, la sconfitta delle politiche di potenza in una regione dove tutti gli Stati del mondo hanno cercato di estendere la propria influenza.

Spiegare gli eventi individuando la concatenazione tra cause ed effetti è l’unico modo per far capire ai ragazzi quello che succede e dissuaderli dal fare il “tifo” per una parte o per l’altra. Sì, perché trovare un cattivo, per i giovani, è quasi un’esigenza, serve ad allontanare il timore. Ma per fermare i crimini di guerra o i crimini contro l’umanità non basta arrestare un assassino, bisogna piuttosto trovare quei compromessi che permettono di fermare il fuoco in modo stabile.

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Il terrorismo spiegato ai ragazzi parla di radicalismo islamico, di guerre in Medio Oriente, di al Qaida e Isis. E parla soprattutto dei protagonisti di questi fenomeni, jihadisti arabi e foreign fighters, e delle diverse motivazioni che li spingono a lottare. Risale alle origini della retorica dello scontro di civiltà e ricorda che i combattenti stranieri non sono nati con lo Stato Islamico, ma con la guerra contro i sovietici in Afghanistan e con quella d’Algeria contro i francesi. Spiega l’attacco di novembre 2015 a Parigi e quello della primavera 2016 a Nizza analizzando gli obiettivi dello Stato Islamico e descrive la battaglia in corso tra il Califfato e al Qaida.

I motivi che spingono i jihadisti a combattere, uccidere e uccidersi, sono un mix tra ragioni antiche e interessi di potere che mutano di giorno in giorno. Una miscela di guerre geopolitiche e battaglie per la sopravvivenza.

I terroristi sono esseri umani, e la maggior parte di loro non vuole diventare un kamikaze, ma esercitare un ruolo nella macchina del massacro perché ritiene che quello sia il suo dovere. Per capire meglio come ragionano ho usato la fantasia, ho preso spunto da persone reali per inventare personaggi fittizi: due jihadisti che combattono in Siria e in Libia. In tal modo potevo essere libera di farli muovere in quel mondo secondo le mie esigenze, di scandire i loro impegni e programmare le loro preoccupazioni nell’ordine in cui avevo intenzione di affrontare i vari argomenti. Ahmed il saudita è un agente di propaganda di Is e Omar l’algerino è leader di una cellula di al Qaida. Attraversando la loro vita si scoprono le attività che tengono in vita un’organizzazione combattente e il modo in cui un ideale religioso viene sfruttato per tenere in piedi un sistema di potere. La speranza è quella di fornire strumenti ai giovani per interpretare il mondo che li circonda. E, in prospettiva, di creare un’opinione pubblica consapevole che sappia indirizzare i suoi governanti verso scelte sensate, che rendano inutile il ricorso alla violenza.