Julian

Dello scivolare ai margini, del tornare a riva

video e testo di Tano Siracusa

Julian ricorda volentieri come se la passava bene in Romania quando c’era il comunismo. Allora lavorava come comparsa nell’operetta e venivano tutti pagati dallo Stato. “Era bene allora”, dice. “C’era bello”.

Poi, quando il regime di Ceausescu è stato rovesciato, ha perso il lavoro perché con i soli incassi della biglietteria gli attori non ce la facevano. Ha seguito un corso di meccanica leggera, poi ha lavorato con una macelleria privata, un giro di maiali con i rom, ma nessuno e niente era in regola, rischiavano la prigione e avevano dovuto chiudere.

La brusca transizione all’economia di mercato lo ha sbalestrato ai margini della società e poi fuori dal paese come tanti altri rumeni.

Diciotto anni fa, Julian si è trovato alla stazione Termini di Roma, con 10 marchi in tasca e una valigia in mano. Aveva perso tutto in Romania, anche la moglie e la famiglia.

Prima a Roma, poi ad Agrigento, ha però lavorato, al nero naturalmente. Lavori faticosi, senza orari precisi, ma che gli hanno permesso di guadagnare per vivere. Julian è grato a quanti gli hanno permesso di lavorare, di vivere in Italia lavorando. Poi è cambiato tutto.

Tre anni fa è stato arrestato con pesanti accuse, estorsione e minacce gravi. Si è fatto quattro mesi di carcere preventivo e quando lo hanno fatto uscire non ha più trovato un lavoro. Poi è stato assolto, ma intanto si è ammalato, gli è stato diagnosticato un tumore, poi il diabete.

Ormai non può più lavorare e non ha una adeguata assistenza sanitaria perché non ha la residenza nel nostro paese. Per averla deve dimostrare di percepire un reddito o risultare in possesso di 5mila euro che ovviamente non ha. Tutto il lavoro che ha svolto in Italia, grazie al quale ha vissuto per quindici anni decentemente, non risulta da nessuna parte.


Adesso ha a 51 anni, parla un’italiano approssimativo, non può in alcun modo faticare e le possibilità che qualcuno lo assuma, che possa trovare un lavoro stabile, sono realisticamente poche.

Tuttavia Julian ha un sogno, e per quello cuce una giornata alla successiva, tutte trascorse fra un malandato pianoterra senza acqua dove dorme e mangia e un marciapiede davanti il Municipio, con una sua seggiola e un bicchiere di carta. Lui non chiede i soldi, ma qualche euro cade ogni tanto nel bicchiere.

Con 5 euro al giorno riesce a mangiare, anche se non sempre le giornate sono così generose. E poi viaggia verso gli sportelli della Caritas, del Comune, della Asl dove un po’ tutti lo conoscono. Stanze di attesa, corridoi, scale che è facile scendere ma che per lui sono difficili da salire.

Si è abituato ad essere trattato male, e a volte protesta perché la donna della chiesa non gli da nulla o perché non riesce ad accedere ai magazzini di una associazione di volontariato dove c’è una grande quantità di indumenti. Lui cerca indumenti anche per un nipotino che vive in Romania, bravissimo a scuola e con la famiglia senza soldi.


Tuttavia non è raro che trovi anche chi prova a dargli una mano, magari simpatizzando con lui in maniera impacciata, medici privati o nel circuito pubblico, personale dei Patronati o del Comune, impiegati.

“Se tornassi in Romania”, dice, “dove la vita è molto cara e nessuno ti da niente, morirei in un mese”.

Il suo sogno, il filo che cuce le sue giornate, è quello di ottenere la residenza (pare infatti che se qualcuno ‘garantisce’ per lui allora può avere diritto alla residenza: circolare ministeriale del 2013 scovata da una volenterosa impiegata del Comune) e poi chiedere una pensione da invalido.

Con tre, quattrocento euro al mese si sentirebbe al sicuro. Forse è per questo sogno, che nei tempi lunghi della nostra burocrazia potrebbe anche concretizzarsi, che Julian si lamenta raramente ed è spesso di buon umore.

E poi adesso ha una compagna, si vogliono bene, e con la sicurezza di una piccola pensione potrebbero sposarsi, abitare una casa decente.
“Dammi un caffè”, dice ridendo al ragazzo del bar, “e dopo il caffè mi dai un bacio”.