Terremoto. Quarant’anni fa

Il terremoto del Friuli, primo graphic novel pubblicato dalla neonata Becco Giallo nel 2005, racconta il sisma del 1976 con le straordinarie tavole pittoriche di Paolo Cossi.

Di Luca Rasponi

Cos’è un terremoto? Nella sua essenza più profonda è un memento alla nostra fragilità di esseri umani, in grado di risvegliare una paura ancestrale pari soltanto a quella evocata della malattia. Diventa quindi spontaneo chiedersi: è possibile raccontare un terremoto? Non da un punto di vista scientifico o cronachistico ma da un punto di vista umano, emozionale, senza cadere nella trappola della retorica?

Il terremoto del Friuli, primo graphic novel pubblicato nel 2005 dalla neonata Becco Giallo, è la risposta a questa domanda. Sì, è possibile raccontare un terremoto dal punto di vista di chi lo ha vissuto, senza pietismi o retorica. Ma semplicemente immedesimandosi nel destino tragico di quelle persone, e affidando alla forza evocativa delle immagini il compito di raccontare l’inenarrabile, la furia degli elementi che disintegra la fragilità dell’uomo.

Nei giorni in cui assistiamo commossi alle conseguenze del terremoto in centro Italia, l’opera di Paolo Cossi rievoca i 57 fatidici secondi di quel 6 maggio 1976 – praticamente quarant’anni fa – in cui una scossa di magnitudo 6.5 sulla scala Richter colpì 137 Comuni friulani, coinvolgendo 60mila persone e lasciando a terra 965 morti.

Anche in quel caso la terra tremò di notte: erano le 21 e 24 secondi, molte persone erano in casa e furono sorprese dai crolli, proprio come accaduto nel reatino e nell’ascolano il 24 agosto scorso. Paolo Cossi, che già nell’introduzione precisa di non aver vissuto in prima persona il terremoto essendo nato nel 1980, si fa carico dei ricordi e delle sofferenze di chi c’era, rievocandole attraverso un potente racconto per immagini.

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Potente perché le sue vignette sono dipinti espressionisti, in cui l’emozione dà forma all’immagine. Tavole pittoriche di straordinaria forza espressiva che parlano dà sé, che forse non avrebbero nemmeno bisogno dei balloon per raccontare la loro storia. Una storia semplice, di «gente umile alle prese con problemi comuni, di vita quotidiana», come scrive lo stesso Cossi nell’introduzione.

Storie comuni che diventano universali nel momento in cui vengono colpite, deformate dal sisma. Deformate è la parola giusta, perché questo è l’aspetto che assumono le vignette per rievocare l’impatto devastante del terremoto, con un’intuizione grafica che è uno dei principali punti di forza del lavoro di Cossi.

Così come la scelta di raccontare uno per uno quei 57 secondi, con istantanee caotiche e fugaci che catturano un crollo, una vita spezzata, la sensazione di un Inferno che si spalanca sotto i tuoi piedi. E poi l’uso della seconda persona singolare per trascinare a forza il lettore dentro il racconto, o le immagini di intermezzo tra un capitolo e l’altro, verticali e prive di sfumature che rimandano immediatamente a decorazioni funebri antiche.

L’impatto d’insieme è tale nella capacità di raccontare lo smarrimento dell’animo umano di fronte a una simile catastrofe che il graphic novel di Cossi, se non fosse per i nomi friulani dei paesini e dei protagonisti, potrebbe raccontare la storia di qualsiasi terremoto.

Le testimonianze e i dati di cronaca riportati in appendice conferiscono un indubbio valore documentale al volume, ma certo è che il suo merito principale risiede nella forza evocativa, nella capacità di raccontare per immagini qualcosa che si direbbe impossibile da raffigurare.

Solo alla fine, quando ormai le tavole hanno esaurito il loro compito, la parola riprende il centro della scena. E non si tratta di una parola consueta, bensì di una parola dal grande potere evocativo: quella poetica. Dopo uno struggente componimento in dialetto friulano, infatti, Il terremoto del Friuli si conclude così, con la poesia di Jorge Luis Borges dedicata a quella tragedia. E non poteva essere altrimenti.

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La tierra firme tiembla y es abismo
es como si nos traicionara el día.
Es como si el agua mintiera y dos y dos fueran cien y nuestra madren nos odiara y nuestra mano se levantara contra nosotros.
Dios nos ha dado tantas cosas:
manzanas, días, despedidas, maderas y la esperanza, la otra cara del miedo.
Ahora nos toca el más secreto y el más precioso de los dones:
el fin.

La terraferma trema ed è abisso
è come se il giorno ci tradisse.
È come se l’acqua mentisse e due più due facessero cento e nostra madre ci odiasse e la nostra mano si alzasse contro di noi.
Dio ci ha dato tante cose:
mele, giorni, addii, legni e la speranza, l’altra faccia della paura.
Adesso ci tocca il più segreto e il più prezioso dei doni:
la fine.