La solidarietà senegalese e gli egoismi dell’Europa

Il documentario Portes Ouvertes Portees Fermées racconta la Teranga Senegalese (cultura della solidarietà) ai tempi dell’Europa dei muri e degli egoismi più accesi.

Foto e testo di Giovanni Culmone

Al numero 121 di via Damonos a Salonicco c’è una piccola casa che la sera diventa per molti un luogo d’incontro e di ristoro. Sul pavimento tappezzato di giornali e volantini viene posata una grande pentola, poi inizia un groviglio di mani: dal cibo alla bocca e dalla bocca al cibo. “Il fatto di mangiare dallo stesso piatto sta a significare che tutti i nostri cuori sono uguali” dice Moussa. “Se tu mi disprezzassi mangeresti dal mio piatto?”.

Sedute in cerchio ci sono tante persone che sono fuggite: alcune da qualcosa, altre per qualcosa. La porta della casa è aperta a chiunque. È la fine della primavera del 2015 e l’inizio della stagione dei muri, delle paure e degli egoismi più accesi. Una realtà stridente sta prendendo forma e quella casa alla periferia di Salonicco è l’esempio più palese: chi non ha nulla condivide tutto e chi ha tutto non condivide nulla.

Demba prepara la cena nella casa di Salonicco

Demba prepara la cena nella casa di Salonicco

Non è vero che tutti i migranti scappano da un inferno, economico o bellicoso che sia. C’è anche chi fugge per raggiungere un paradiso; è il desiderio che muove il mondo e quando si ha l’energia e la determinazione per raggiungerlo è difficile rinunciarvi. Se per i rifugiati ancora il mondo si commuove, per i migranti economici è già iniziata la caccia alle streghe.

In questo mondo alla rovescia, fortunato è chi fugge da una guerra.

C. ha 17 anni e viene dalla Costa d’Avorio, suona le percussioni e gioca a calcio. Suo padre è stato ucciso e la madre lo ha costretto a partire per evitargli la stessa fine. Dovrebbe ottenere la protezione sussidiaria ma ad Atene il primo processo ha dato esito negativo. La politica della “disgrazia migliore” ha costretto molti migranti ad inventarsi storie di violenza e persecuzione pur di ottenere un foglio di carta che attesti la propria legalità. Demba non ha una dittatura alle spalle, ma un figlio di sette anni che non vede da sei. ”Tu non sei il mio papà, altrimenti staresti qua con me” si sente dire Demba al telefono, unico punto di contatto tra i due.

Poi c’è chi fugge per raggiungere qualcosa.

Attorno ad un tavolo ad Atene un ragazzo racconta quello che ha abbandonato. Viveva in una villa a Dakar, figlio di una famiglia facoltosa ha rinunciato a studiare per intraprendere un viaggio che lo ha portato in un centro minorile della capitale ellenica. Come molti sognava di giocare a calcio in Europa ed ora si deve accontentare dei complimenti della polizia del centro. Con un enorme sorriso, nonostante l’incisivo centrale mancante, confessa: “volevo arrivare in
Europa e invece sono arrivato in Grecia”.

Poi c’è Makkam (nel documentario Amadou). Seduto sul ciglio della strada spiega come l’alcol e le sigarette aiutino a non pensare ad una sconfitta difficile da digerire e che non può essere raccontata a casa. “Spero mio figlio non intraprenda questo viaggio, ma so che lo farà” dice a telecamere spente. “Ai sogni è difficile rinunciare”. Makkam è morto accoltellato in Ungheria in circostanze non chiarite e che nessuno chiarirà.

PortesOuvertesPortesFermées_ita from Giovanni Culmone on Vimeo.

Per molti ragazzi africani l’Europa degli anni Duemila è quello che è stata per noi l’America. La televisione ha mostrato un mondo nuovo pieno di cantanti di successo e calciatori milionari, di diritti civili e cibo per gatti a cinque stelle: ha creato sogno. Un luogo ideale frutto della globalizzazione che il web ha addirittura avvicinato.

La realtà che trovano è differente e spesso sconvolgente. La povertà quotidiana e la gente che dorme per strada non faceva parte di quell’immaginario. “Tu non vedrai mai un senegalese dormire per strada” dice Moussa “ci sarà sempre qualcuno ad ospitarlo”.

Makkam in una serata con gli amici a Salonicco

Makkam in una serata con gli amici a Salonicco

Oggi al 121 di via Damonos tutto questo non c’è più. Ognuno ha preso la sua strada, continuando il proprio viaggio. L’interminabile epopea dei migranti crea luoghi e relazioni per poi dissolverle, così è stato per la casa di Salonicco: una piccola frazione di tempo e di spazio.