La metà del mondo

Sulle Tracce di un viaggiatore veneziano dalla Turchia all’India

di Angelica Kaufmann e Gianni Dubbini

Abbiamo deciso di partire da Venezia dirigendoci verso il Medio Oriente e l’Asia Centrale con l’intento di ripercorrere l’itinerario di un viaggiatore veneziano del Seicento: Nicolò Manucci (Venezia 1638- Pondicherry 1717 ca).

A soli quattordici anni, Manucci, si imbarca su una nave mercantile, dove incontra un diplomatico inglese di nome Lord Bellmont, inviato segretamente alla corte di Persia. Il viaggio continua al fianco di Bellmont attraverso l’Anatolia, l’Armenia, la Persia, fino al Subcontinente indiano, dove Manucci trascorrerà il resto della sua vita come artigliere, medico e consulente per l’impero Moghul. Egli descriverà le sue esperienze nell’opera-biografia: La Storia do Mogor.

Negli ultimi anni della sua vita, immerso nella quiete del suo scrittoio di una ricca tenuta di Mount Saint Thomas di Madras, nel sud dell’India, piuma d’oca alla mano e avvolto in broccati indiani, egli scrisse uno dei migliori incipit della letteratura di viaggio di tutti i tempi:

“Essendo io di poca età e desiderando grandemente di vedere il mondo, poiché i miei genitori non me lo volevano concedere, mi risolsi di partire in qualunque modo che fosse. Perciò che stava per far vela una tartana, benché non sapessi in quale parte fosse diretta, fattomi animo vi entrai […] Appena partiti da Venezia […] scoppiò con grande furore una burrasca che durò 24 ore […] io soffrii molto, perchè era la prima volta che mi imbarcavo e non ero abituato ai disagi della navigazione. Passata la burrasca e quietatosi il mare, fui costretto dalla fame a chiedere aiuto al capitano, il quale mi chiese con chi andavo e chi era il mio custode. Gli risposi che non avevo alcun custode […] per maggior mia fortuna vi era su quella tartana un cavaliere inglese, chiamato Milord Bellmont, che era fuggito dall’Inghilterra per mitigare lo sdegno di Oliver Cromwell […] Questo cavaliere mi dimostrò un particolare affetto e mi chiese se lo volevo accompagnare. Gli richiesi dove andasse e mi rispose che doveva passare per la Turchia, la Persia e l’India. Rallegrandomi sommamente, gli dissi che ben volentieri lo avrei servito.”

img_0940

Il nostro viaggio ci ha portato a ripercorrere l’itinerario di Manucci, per oltre 10.000 km, attraverso Turchia, Georgia, Armenia, Iran, fino al Golfo Persico e infine al Subcontinente indiano.

Ci eravamo posti l’obiettivo di catturare, con le parole e con le immagini, le impressioni che un adolescente veneziano del Seicento poteva aver avuto di fronte alla vastità e diversità del continente asiatico. Alcune volte ci siamo soffermati su luoghi significativi della sua epoca. Presto però ci siamo arresi al fatto che questi luoghi sono oggi completamente assorbiti dalle realtà a noi contemporanee.

Abbiamo dunque realizzato l’importanza di riuscire a mettere in relazione queste realtà con la storia di Manucci. Siamo partiti in un momento particolarmente delicato per la regione mediorientale, l’estate del 2015, e abbiamo scelto di seguire un percorso anacronistico di un viaggiatore che era inesperto (come noi) e che aveva attraversato gli stessi luoghi, quattro secoli prima.

Una volta giunti in Turchia, non ci è voluto molto a realizzare che ripercorrere esattamente lo stesso itinerario di Manucci, sarebbe stato impossibile per via dei moderni confini degli stati nazionali.

Essi lo impediscono categoricamente con le loro invalicabili frontiere (la frontiera Turco-Armena attraversata da Manucci nel Seicento è al giorno d’oggi notoriamente chiusa per via del mancato riconoscimento del genocidio degli armeni del 1915-18 da parte della Turchia).

Inoltre, gli attuali sviluppi geopolitici tra Turchia, crisi siriana e questione curda hanno contribuito a rendere incandescente l’Anatolia Sud-Orientale. Questi avvenimenti hanno avuto come conseguenza la repentina e imprevista chiusura della frontiera turco-iraniana di Dogubayazit a seguito dell’esplosione di un’autobomba contro una stazione di polizia. L’Iran risultava inaccessibile dalla Turchia.

img_2497

Per seguire la traccia di Manucci, non essendo dei navigati e intrepidi reporter di guerra, ma semplicemente due persone spinte da sincera curiosità per la storia, l’architettura e la cultura del Medio Oriente, non ci rimaneva che prendere atto della difficoltà della situazione e scegliere un itinerario parallelo. Il nuovo itinerario ci avrebbe riallacciato prima o poi a quello originale.

Da Smirne, dopo aver percorso tutta l’Anatolia centrale, vista l’instabilità di quei giorni dell’Est della Turchia – in seguito a una rocambolesca traversata in macchina delle colline pontiche – ci siamo diretti verso il Mar Nero, fino a Trebisonda.

Da quella città mercantile, che nel Medioevo vide la gloria commerciale delle rivali repubbliche marinare di Venezia e Genova e che fu visitata da Marco Polo, abbiamo attraversato la frontiera e siamo giunti a Tblisi in Georgia. L’obiettivo era di ritornare sul percorso di Manucci arrivando a Yerevan, in Armenia, e poter dire di aver visto come lui il monte Ararat.

Esattamente dall’altra parte della montagna si trova la frontiera che non avevamo potuto attraversare ma, superando due stati, Georgia e Armenia, ce l’avevamo fatta. Eravamo di nuovo sul nostro itinerario.

Da qui abbiamo attraversato il fiume Araxes, che scorre impetuoso attraverso una delicata zona geopolitica di frontiera tra l’Armenia, la Repubblica Azerbajiana del Naxçivan e l’Iran. Di fronte a un impervio paesaggio desertico di memoria biblica, ci siamo ritrovati invece piacevolmente rassicurati dal cordiale “welcome to Iran!” delle guardie di frontiera persiane in divisa mimetica e muniti di fucili automatici.

Giunti a Tabriz, dopo aver superato via terra ben tre avamposti di frontiera e aver percorso, fino a questo punto, seimila chilometri in macchina, autobus e a piedi, siamo riusciti ad arrivare fino alla Valle di Alamut (la valle degli Assassini, vicino a Qazvin) in tributo al viaggiatore veneziano in Asia per eccellenza: Marco Polo.

Con la tappa successiva, si imponeva davanti ai nostri occhi la modernità austera di Tehran, una megalopoli tra le montagne. Qui i palazzi sono ancora decorati con graffiti realizzati durante la Rivoluzione del ‘79 che invocano l’annientamento degli Stati Uniti d’America e i tassisti si destreggiano in un traffico caotico ascoltando canzoni di Domenico Modugno per farti sentire a casa.

Il viaggio prosegue, lo scenario cambia completamente e ci ritroviamo a mangiare biryani d’agnello all’ombra della moschea del venerdì di Isfahan, ad ammirare le vestigia di Persepoli che si stagliano su un paesaggio montuoso innevato. Infine ci ritroviamo ospiti dei bandari che abitano le isole del Golfo Persico, Qeshm e Hormuz, e ostaggi dei loro virtuosismi alla guida di veloci lance a motore. Qui con un tramonto che illumina il forte rosso di Hormuz, avamposto portoghese del periodo coloniale, immaginiamo la partenza di Manucci e Bellmont a bordo di un vascello olandese alla volta di Surat, India.

L’esperienza di Manucci è stata unica. Il suo resoconto è allo stesso tempo un diario di viaggio, un romanzo di formazione e una testimonianza del passaggio dall’adolescenza all’età adulta.

Nella nostra epoca gli archivi storici di tutto il mondo possiedono una quantità inesauribile di resoconti di viaggio della prima età moderna. Chilometri di documenti riempiono gli scaffali delle biblioteche europee e quello di Manucci può apparire solo uno degli ennesimi esempi di letteratura di viaggio.

Seguire il suo itinerario è stata un’avventura dai molteplici risvolti. A volte le tracce non si sono manifestate e hanno lasciato spazio alla frustrazione. Paradossalmente, più ci siamo discostati dal percorso, più informazioni abbiamo ricavato sull’autore e sulla sua epoca. Abbiamo attraversato strade di paesi che, fatta eccezione per le zone di guerra, sono straordinariamente sicuri. Questi sono luoghi nei quali ci si sente sempre bene accolti e mai in pericolo. Un sentimento simile trova una certa corrispondenza, ma con notevoli vantaggi sulla sfera privata con il tempo di Manucci perchè, per esempio, la Persia safavide nel Seicento garantiva, a differenza della Turchia ottomana, la totale incolumità dei viaggiatori.

Passando per molte terre, abbiamo sfiorato il centro nevralgico del problema geopolitico mediorientale. Abbiamo incontrato un oceano di opinioni condivise, discordanti, divertenti, contrarie e deliranti. Confrontarci con queste idee, raccogliendo immagini e descrizioni di quello che osservavamo, è stato l’esercizio più appagante del viaggio.

Non ci siamo mai sentiti insicuri. Le persone che abitano i paesi da noi attraversati sono ospitali e tolleranti e soprattutto molto curiose nei confronti dei viaggiatori, ai quali viene rivolta un’ospitalità quasi sacra come vuole la tradizione. In generale, fatta eccezione per le note mete turistiche iraniane, come Isfahan, oppure Persepoli, è molto insolito incrociare turisti occidentali, salvo curiosi incontri con altri viaggiatori solitari i quali attraversano l’Asia con i mezzi più insoliti, come biciclette o moto da cross.

La convinzione che abbiamo maturato dopo questo viaggio è che le persone sono troppo spaventate e negativamente influenzate da quel che vedono oggi sui giornali, da non viaggiare più in maniera indipendente. E’ per questo che per provare a capire e ad accettare il mondo attuale nelle sue disorientanti quanto meravigliose sfaccettature, è fondamentale tornare a spostarsi in maniera libera. Questo può essere fatto con l’intento di contrastare la superficie ideologica di ciò che assorbiamo tra le pagine della propaganda mediatica, per disincantarci nei confronti del mondo e della politica di oggi. Oppure semplicemente per soddisfare un piacere personale.

Raccontare un viaggio può portare alla presunzione di ritenere che quello che si è visto possa catturare l’intenzione degli altri, ma non sempre è così. I resoconti di viaggio possono essere estremamente noiosi e non trasmettere per nulla le emozioni vissute da chi le racconta.
Ma se la nostra esperienza può essere d’incoraggiamento ad altri viaggiatori, avremmo dunque raggiunto il nostro scopo.

 
Dal 28 ottobre al 14 novembre 2016
Galleria Salizada
San Marco – San Samuele 3448 – Venezia
www.lasalizada.it
 

GIANNI DUBBINI

Gianni Dubbini (Milano, 1987) ha studiato storia presso l’Università Statale di Milano e storia dell’arte e archeologia orientale presso la School of Oriental and African Studies dell’Università di Londra. Nel 2013 è stato Postgraduate Fellow presso la Royal Geographical Society. Sta attualmente conseguendo un dottorato in Storia delle Arti presso l’Università Ca’Foscari di Venezia. Studia la percezione della cultura e dell’arte da parte dei viaggiatori europei in Asia durante l’età moderna e nel primo periodo coloniale.

ANGELICA KAUFMANN

Angelica Kaufmann (Milano, 1987) ha studiato filosofia della mente e antropologia evoluzionistica a Milano, Edimburgo, Londra e Anversa. Nel 2016 è stata Research Associate Fellow dell’Italian Academy for Advanced Studies alla Columbia University di New York. Attualmente è Early Career Fellow del Lichtenberg-Kolleg dell’Università di Göttingen e del Leibniz Institute for Primate Research. Finalista del NatGeo Traveller Photo Competition 2015, collabora con Zeppelin e Fatto Quotidiano.