Dov’è la libertà?

La redazione di Nèpszabadsàg, storica testata ungherese chiusa senza chiarimenti, in piazza

di Alessandro Grimaldi, da Budapest, tratto da Live in Budapest

In piazza Vorosmarty, il cuore della Budapest dei turisti c’è un vecchietto alto, con la barba bianca lunga, le spalle un po’ curve e l’impermiabile beige che vende giornali. Un giornale auto prodotto, donazione libera. È il giornale dei barboni, “il senza tetto” quello che ti vendono i barboni ufficiali (quelli col badge al collo) alla fermata del tram.

Questa però è un’edizione speciale e anche io ne prendo una copia, la mia donazione è di 300 fiorini (un italico euro) come a casa nostra un vero giornale, perché questa è un’edizione speciale, un numero del giornale fatto dalla redazione del più storico giornale d’Ungheria, il Nèpszabadsàg, ovvero la Libertà del Popolo, il giornale della sinistra ungherese, il giornale che fu del partito socialista operaio e poi del partito socialista, e infine di un magnate austriaco, che tutto a un tratto e con mezzi subdoli lo ha chiuso.
È successo due settimane fa.

C’è una piccola folla in questa parte della piazza, è un sabato pomeriggio di sole e c’è il converto artisti per il Nèpszabadsàg. All’ungherese: commosso e contenuto, cantautori e musica folk. La redazione in eleganti soprabiti di stagione con l’aria comunque rilassata.

La più giovane del gruppo dei giornalisti è salita sul palco all’inizio, carina, caschetto nero e pelle chiara: “Ci chiamano comunisti, ma io sono nata nel 1984, voglio solo fare giornalismo, il rammarico sono le storie, gli articoli che avrei voluto scrivere in questi giorni e che non ho potuto scrivere. Volevo scrivere di Bob Dylan. Ci hanno chiuso il giornale e, ancor peggio, hanno messo off line tutto l’archivio storico del sito, (dove tutti i pezzi degli ultimi 10-20 anni erano consultabili liberamente). Vogliono cancellarci dalla memoria collettiva.”

Chi ha tenuto l’ultimo discorso ha invece detto: “Sono un giornalista, la chiusura forzata del più grande giornale del paese è una notizia, ma da allora i media “nazionali” non ci hanno minimamente cercati, non fanno che ripetere solo la posizione del governo. Noi ci aspettiamo ora la seconda parte della storia, con Meszaros Lorincz (imprenditore compaesano e grande amico del primo ministro Viktor Orban) che arriva e compra tutto.”

Ha chiuso con un appello alla gente: “Continuate a seguirci, non lasciateci soli, il governo ha in fondo paura di voi, finché avremo lettori ci sarà il Nèpszabadsàg

Andiamo a casa, sotto il palco prosegue la vendita di “Hanno liquidato il Nèpszabadsàg” l’instant book scritto dalla redazione. Il giornalismo prosegue in tante forme.

Ne mostra due copie, in mano, in piedi sulla fontana una signora bionda con i capelli lisci e la montatura dorata, da lontano sembra quasi Emma Bonino. Una manifestazione organizzata in fretta, non certo “con tutti i soldi che il governo ha speso per il grande palco a Kossuth tèr, per le grandi celebrazioni di domani, (sessantennale della rivoluzione di Ungheria del ’56), soldi che dopo due ore andranno già in fumo, se li avessero spesi per la pluralità d’informazione invece…”

C’era poca gente in fondo, circa 500 persone, ma una spiccava su tutti, riconoscibilissimo con il folto barbone nero e il cappellino blu calato sugli occhi: Rohrig Geza, lo scrittore ungherese trapiantato a New York, grandissimo interprete de Il figlio di Saul, il film sull’Olocausto dell’esordiente Nemes Laszlo, che ha vinto l’Oscar per il miglior film straniero 2016.

Un piccola capannello si forma attorno a lui per farsi autografare il libro. Tra la folla si aggira anche un ragazzone con aquila tedesca sul giubbotto nero, e simboli nazisti sulle spillette. È solo. Ma sarà a due o tre metri da Rohrig. La libertà di cui si è parlato oggi è anche questa.

Domani è un altro giorno. Domani è festa nazionale, si festeggia il ’56, il grido di libertà di un popolo, e oggi dal palco a un certo qualcuno ha detto: “In un paese che chiude i giornali, e in cui tutti i media sono quasi totalmente asserviti al potere, in questo paese il vero giornalista oggi è diventato lui il combattente per la libertà.”