Sei per gli Angioini o per gli Aragonesi?

Una nuova puntata della nostra rubrica sul mondo della scuola

di Alessandro Macchia

In aula è scoppiato l’inferno. Federico II era morto; gli Angioni avevano invaso il Mezzogiorno; i siciliani avevano acceso i Vespri. Gli alunni si sono spaccati bellicosamente in due gruppi: gli uni a parteggiare per i francesi, gli altri per gli Aragonesi.

Fabio stava con Carlo d’Angiò perché il Papa aveva ragione di temere l’accerchiamento; Arianna era per Pietro III perché i francesi non dovevano mettere le mani addosso a una donna. Arianna non sopporta proprio le ingiustizie. Mirco tifava per gli Angioni. Ma lui è sempre dalla parte dei più forti. Solo Andrea continuava a esacerbarsi per un’usurpazione, quella a danno degli Svevi, a prescindere.

Andrea è già un piccolo idealista. Chi sia nel giusto solo Dio lo sa, ma ognuno di loro, allorché sceglie di parteggiare, fa un esercizio etico, tenta di individuare dove sia il bene e dove il male.

Sapeste quanto è difficile in altro modo apprendere la Storia a undici anni! Saltare da un’epoca a un’altra, riannodare i fili di un discorso che si dispiega su uno spazio geografico illimitato, astrarre le azioni dell’uomo dalle virtù e dai vizi individuali, quasi non fossero essi stessi a dare il pungolo all’azione politica, a infiammare gli egoismi sotto forma di machiavelliche necessità.

Quando la lezione prende questo corso, sembra che il buon vecchio insegnamento della Storia voglia presentarsi come antidoto al riformismo scolastico bugiardo di destra e di sinistra. Lo diciamo bugiardo perché, se bugiardo non fosse, metterebbe sul banco l’unico vero e pertinente dilemma: la scuola deve inseguire a testa bassa la modernità oppure deve ergersi a strumento per correggere, controllare, incanalare l’attuale rivoluzione antropologica in un alveo maturo anziché lasciarla ai capricci di questa sua intemperante e impertinente fanciullezza?

I riformatori (che nelle faccende della scuola “rottamatori”, ahi noi! lo sono per davvero) esulano, non si sa se in malafede o con effettiva incoscienza, dal porre il problema e, senza reali alternative, perseguono la logica della promozione tout court dei saperi funzionali, in vista di una socialità meramente competitiva, che poco ha a che vedere con la crescita morale dell’individuo.

Le tre I (Inglese, Informatica, Impresa) sono passate di moda in quanto slogan politico, ma perdurano come radice fondativa di una scuola che si vuole rispecchiata a tutti i costi nel mito tecnologico, ovvero nell’ideale di un giovanilismo spaccone del pari renziano.

A riprova di una continuità col recente passato gelminiano, va collocata quantomeno l’ultimissima trovata del “pensiero computazionale” tra i banchi, che già favoleggia di alg(id)oritmi miracolosi e di scuole all’avanguardia o, come si usa oggi, al passo coi tempi: per tacere del fil rouge delle prove Invalsi, almeno fintantoché qualcuno non riconosca che quei test stanno alla conoscenza come i cruciverba stanno al sapere autentico.

Crediamo invece che la scuola debba assolvere quell’altro compito. A tal fine, la memoria storica, la ciceroniana nuntia vetustatis, resta una straordinaria risorsa, se non la migliore alternativa, per via delle intrinseche proprietà di “canalizzazione” etica, che tradizionalmente la apparentano altresì all’educazione civica.

Vorremmo, dunque, che il moltiplicarsi dei saperi funzionali avesse quantomeno il correlato di una rivalorizzazione di quelle discipline che incidono sui meccanismi di analisi critica della realtà. Un primo efficace passo, per esempio, sarebbe quello di reintrodurre nella secondaria di primo grado, dopo anni e anni di assenza, il corso di Storia greca e romana.

Un secondo passo, nel merito dello stesso ciclo di studi, sarebbe quello di allacciare in maniera funzionale l’insegnamento della Storia a quello fin troppo dispersivo della Geografia: lo troveremmo sottilmente rivoluzionario, considerato che lo stesso atlante storico nella scuola italiana, da quarant’anni a questa parte almeno, non ha suscitato negli insegnanti nemmanco un minimo di attenzione.

In tutto questo, e in altre parole, sarebbe opportuno tornare a domandare da che parte si sta e per quale motivo, di modo che, quando un giorno si chiederà a Fabio, Arianna, Mirco e Andrea se siano per i russi o per gli americani, essi possiederanno le ragioni per chiudere tacitamente e sconsolatamente il libro o per dire, con Clemente Rebora, che in fondo la Storia è solo un pozzo di merda.

Sempre che si intenda la Storia diversamente dal banale accumulo di episodi ed eventi. Sempre che si voglia scrutare nell’animo di questi fanciulli attraverso le gesta maledette o benedette dei loro avi. Sempre che in aula, durante la lezione di Storia, si voglia per davvero scatenare l’inferno.