Dodici brani, dodici capolavori, per salutare uno dei più grandi musicisti di sempre
a cura di Clara Capelli e Antonio Marafioti
Leonard Cohen è morto. Chi ne ha dato notizia lo ha ricordato come uno dei più prolifici e venerati visionari della musica. Sposiamo la definizione.
Lo salutiamo con dodici suoi brani scelti istintivamente nell’enormità del suo catalogo musicale
Did I ever love you
“The lemon trees blossom/ The almond trees whither/ Was I ever someone/ Who could love you forever“. Non serve aggiungere altro.
Take this waltz
“This waltz, this waltz, this waltz, this waltz/With its very own breath of brandy and Death
Dragging its tail in the sea“. Nel 1986 pubblica questo waltzer. Cohen sperimentava sempre e tanto. Non c’erano confini al suo approccio con il pentagramma.
My oh my
“Wasn’t hard to love you/Didn’t have to try/Held you for a little while“. Quando si ascoltano questi versi non si può fare a meno di pensare a Marianne Ihlen, la musa di Leonard. A lei, morta lo scorso agosto, il cantautore scrisse: “Ti ho sempre amata per la tua bellezza e la tua saggezza, ma non serve che io ti dica di più poiché lo sai già. Adesso, voglio solo augurarti buon viaggio. Addio vecchia amica. Amore infinito. Ci vediamo lungo la strada”.
The Gypsy Wife
“A ghost climbs on the table in a bridal negligee/She says, “My body is the light, my body is the way”. C’è un’intensità gitana che va oltre il titolo. Si crea nell’armonia fra violino, chitarra, mandolino e parole. Una passeggiata a piedi nudi nel mondo.
There For You
“Eating food/And drinking wine/A body that/I thought was mine“. In amore si può far tutto per la legge dell’altro? La malinconia di chi ha perso provandoci.
Suzanne
“That come all the way from China/And just when you mean to tell her/That you have no love to give her/Then she gets you on her wavelength/And she lets the river answer/That you’ve always been her lover”. Non c’è classico più classico di Suzanne. C’è vita e una storia che passa attraverso il tocco di un corpo perfetto con la mente.
The Window
“but climb on your tears and be silent, like a rose on its ladder of thorns”. Una preghiera, un mesto waltzer, una ballata medievale ricca di immagini e simboli, che solo il poeta Cohen, visionario ed essenziale al tempo stesso, avrebbe potuto creare.
The Future
Leonard Cohen era un cantore profondo dei cuori umani, ma anche un acuto osservatore dei suoi tempi. A riascoltare questa canzone, scritta negli anni ’90, viene voglia di fare come lui: ritirarsi in un monastero zen a meditare per poi tornare più forti a questi mala tempora.
Chelsea Hotel #2
“Every concert that I did, I dedicate this song to a great American singer that I met one night in an elevator in shabby hotel in New York City”. Lei era Janis Joplin e Cohen in seguito dichiarò di essersi pentito per avere raccontato questo aneddoto. Eppure ad ascoltare, a lasciarsi trasportare da quel “your heart was a legend”, gli si può perdonare questo scivolone.
Joan of Arc
Una donna stanca di guerra ma che senza guerra non può essere, il fuoco che la consuma come sposo. Destino crudele o luminoso? E su quel ritornello la-la-la danziamo anche noi con le fiamme.
The Butcher
Leonard Cohen era ebreo e la sua produzione musicale e poetica è pregna della tradizione culturale ebraica. “I am what I am and you, you are my only son.” Il male, la sopportazione, la convivenza con esso.
A Bunch of Lonesone Heroes
“I’d like to tell my story, before I turn into gold”. Un’altra ballata, essenziale e profonda. Leonard Cohen ci ha raccontato le sue storie, prima di trasformarsi in un idolo d’oro.