Place de Stalingrad

Più di 3000 migranti sgomberati da Place de Stalingrad, a Parigi – l’incertezza sul loro futuro

di Monica Cillerai e Stefano Lorusso

 

I continui sgomberi
Trenta sgomberi in diciotto mesi. Ma più di venti, solo negli ultimi tre mesi. “La polizia arriva, la mattina presto, ci fa uscire dalle tende, distrugge tutto. A volte ci picchiano. Noi chiediamo al governo solo di poter vivere in pace” dice Imir, un rifugiato afgano che da settimane viveva accampato sotto il ponte della metro di Stalingrad. Voleva fare la richiesta di asilo in Francia. Ma la burocrazia francese ci mette mesi per concedere un appuntamento. E Imir viveva per strada, a Parigi, in una tendina Quechua come centinaia di altre installate in quella piazza. Le chiamano “rafle”, rastrellamenti, retate. La gendarmerie e i CRS (Compagnie Républicaine de Sécurité) sbarcano sulla piazza, circondano una parte degli accampamenti. Arrivano le ruspe che buttano giù tutto. Chi ha la ricevuta della domanda di asilo, la prova del percorso legale intrapreso, viene lasciato in pace. Chi non ce l’ha viene portato in commissariato. Secondo il collettivo La Chapelle Debout, che lavora sugli accampamenti parigini da mesi, nel corso di queste operazioni sono stati distribuiti più di 400 OQTF, gli obblighi di lasciare il territorio francese, e circa 130 rifugiati sono stati portati nei CRA, i centri di detenzione amministrativa.

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Lo sgombero di Place de Stalingrad
Venerdì 4 novembre le forze dell’ordine francesi hanno smantellato le tendopoli in Place de Stalingrad. Quasi 4 mila i migranti coinvolti, 600 i poliziotti mobilitati per quella che è stato uno dei più grandi sgomberi di questo genere negli ultimi mesi.

Le sirene della Police sono rimaste accese tutta la notte in Place de Stalingrad. Alle 5,30 del mattino le forze dell’ordine hanno bloccato l’accesso al perimetro della piazza; i migranti si sono adunati pacificamente, stremati dal freddo, rassegnati. Secondo Jean-François Carenco, prefetto della regione Ile-de-France, sono stati 82 gli autobus impiegati per trasportare i migranti verso i centri d’accoglienza. Per rendere l’idea: per lo stesso scopo, a Calais i mezzi impiegati furono 150.

Lì dove fino a ieri sera dormivano migliaia di persone, adesso regna un oceano di silenzio. Un gruppo di ragazzi sudanesi si fa spazio tra tende ormai vuote, scarpe abbandonate, coperte stropicciate. Il sole non è ancora sorto. Dormivano ai margini del campo su Avenue de Flandre, non si sono svegliati in tempo e adesso non sanno come montare sull’autobus per il centro d’accoglienza. Un cordone di agenti della CRS blocca l’accesso all’area delle operazioni. “Non sappiamo cosa fare, vogliamo soltanto prendere gli autobus”, dice sconsolato Mohamed, 21 anni, del Sudan. Poco a poco li fanno passare.

L’inverno si avvicina, di notte la temperatura sfiora lo zero. “Qui è tutto sporco, non ho una tenda né un sacco a pelo, dormo avvolto in un cartone per imballaggi”, spiega in un italiano pulito Ibrahim, 18 anni, somalo. “Io volevo andare a Londra, ma non ce l’ho fatta. Troppi controlli. Prenderò gli autobus, tra 2 settimane ho appuntamento alla Prefettura di Parigi per rilasciare le mie impronte. Chiederò l’asilo in Francia, ma sul mio documento hanno sbagliato la data di nascita: non sono nato nel 1942”. Ride sornione Ibrahim, il suo viaggio è terminato, adesso inizia l’odissea dei documenti. “Ho vissuto a Udine 3 anni, in Italia ho cercato lavoro, ma inutilmente. Da clandestino, certo. Mi piace l’Italia, mi piacciono gli italiani, ma non avevo cibo per sfamarmi”.

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Condizioni disumane
Nella variante urbana della jungle di Calais, le condizioni igienico-sanitarie erano arrivate al limite. La Croce Rossa è intervenuta più volte nei giorni scorsi a causa di un’epidemia di varicella, i servizi igienici erano insufficienti. Le esalazioni degli escrementi insopportabili.

“Siamo considerati animali, qui. Non siamo uomini. Gli uomini non dormono per strada.” È arrabbiato Nazir, afgano. Ripete una delle frasi che più si sentono tra i richiedenti asilo: siamo uomini, non bestie.

“Nessuno si era mai interessato degli accampamenti parigini” dice Nikita, attivista indipendente che lavora da mesi sui campi parigini. “Da quando la Jungle di Calais è stata sgomberata, tutti i media si sono interessati ai campi di Parigi. E il governo ha dovuto dare una risposta”. Una risposta che si vuole ancora una volta “umanitaria”, come era stato detto per l’evacuazione della bidonville sulle coste della Manica. Ma che lo è a metà, come per Calais. O forse meno.

È chiaro che Hollande sia già in campagna elettorale. Lo smantellamento della Jungle è stato un gesto politico importante per chi sta cercando di attirare a sé i voti della destra moderata e meno moderata che non vogliono più vedere migranti e rifugiati accampati per le strade.

Ma anche per tenersi stretti i voti di quel centro-sinistra che spera in un’azione governativa per aiutare queste persone, in balia del freddo e dell’assenza di sicurezze. Lo sgombero di Place de Stalingrad fa parte dello stesso piano di gioco. Un’evacuazione “umanitaria”, dicono.

I rifugiati della piazza sono stati distribuiti in numerose strutture di emergenza distribuite in tutta l’Ile de France. In questa settimana, molti di loro verranno inviati nei CAO (centri di accoglienza) sparsi su tutto il territorio francese. Ed è qui che inizia il lato meno umanitario degli sgomberi.

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Cosa accadrà ai migranti non è chiaro: il ministro dell’Interno Cazeneuve aveva rilasciato alcune dichiarazioni che lasciavano aperta la possibilità di un blocco momentaneo del Trattato di Dublino per gli ex-inquilini della Jungle e di Stalingrad. Ossia: anche se il rifugiato in questione aveva già fatto domanda di asilo in un altro stato europeo, e aveva lì lasciato le sue impronte digitali, invece di essere rispedito in quel paese come prevede il Trattato, avrebbe potuto fare domanda di asilo in Francia. Ma di questo, non si parla più. E nessuno ha chiarito questo punto.

Thierry Mosimann, prefetto delegato alle pari opportunità per la Val-d’Oise – di fatto una delle banlieu settentrionali della capitale francese – e responsabile del centro d’accoglienza di Sarcelles che ospita momentaneamente 850 rifugiati del Corno d’Africa prima accampati in Place de Stalingrad, dice il contrario: “Rispetteremo gli accordi che la Francia ha firmato. Applicheremo il Trattato di Dublino, anche se non è così facile”.

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La nuova direzione delle politiche europee – aumento dei rimpatri e blocco delle partenze
Infatti la direzione dell’Unione Europea in materia di politiche migratorie si sta delineando sempre più chiaramente. Dopo l’accordo stipulato a marzo con la Turchia, nuovi accordi con altri stati si profilano all’orizzonte.

Durante il G6 di Roma, il 22 ottobre i ministri degli interni di Italia, Germania e Francia (Alfano, De Maiziere e Cazeneuve) hanno ribadito l’esigenza di stipulare accordi comunitari per il rimpatrio degli “immigrati irregolari” nei paesi africani. Gli accordi bilaterali che sono oggi in vigore infatti permettono ai migranti considerati “economici, da espellere” semplicemente di spostarsi in un paese UE che non ha un accordo con il proprio per evitare il rimpatrio. È proprio questo che Francia, Italia e Germania vogliono evitare. L’idea, già annunciata al vertice di Ventotene dove erano presenti i capi dei tre governi (Renzi, Hollande e Angela Merkel) va in due direzioni: bloccare le partenze, e favorire accordi con gli stati africani per aumentare il numero di rimpatri.

L’accordo appena firmato con l’Afghanistan, è un esempio della politica migratoria che l’UE sta adottando. Di fatto, l’Europa sembra preferire il pagamento di qualche milione di euro e rispedire migliaia di migranti in un paese devastato dalla guerra civile, piuttosto che accettarli sul suo territorio.

Questi sgomberi, di umanitario hanno ben poco. Sicuramente il loro scopo è molto più politico e mediatico che non sociale. Ma ciò che la politica francese dovrebbe fare, è dare qualche sicurezza a queste persone. Dire chiaramente quale futuro li aspetta: se potranno restare sul territorio francese, o se il Trattato di Dublino verrà applicato. E se nuovi eventuali accordi con stati di partenza verranno già applicati.

 

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