Le città hanno gli occhi

Una mostra multimediale racconta il rapporto speciale tra Bologna e il mondo del fumetto

di Cora Ranci

Un racconto visivo degli ultimi quarant’anni di fumetto a Bologna. In occasione della decima edizione del festival internazionale del fumetto BilBolBul, il collettivo di narrazione visiva Lele Marcojanni ha realizzato una mostra multimediale sul rapporto, ormai storico, tra il capoluogo emiliano e la cultura del fumetto, che sotto le due torri ha trovato una vera e propria “casa”.

Il visitatore entra in una stanza scura, illuminata solo da sette schermi che proiettano il racconto, tra immagini e parole (come nel fumetto), di undici autori intervistati ad hoc in occasione della mostra, e invitati a raccontare in particolare il loro rapporto con Bologna, la città che ha accolto il loro mezzo di espressione e intrattenimento.

Una mostra immersiva, un’indagine sul fluire quotidiano che, dagli anni ’60 a oggi, ha reso Bologna un riferimento per molti autori del panorama nazionale e internazionale. Le trame dei racconti soggettivi narrati in prima persona creano una mappa spazio-temporale degli scambi e degli incontri avvenuti in città. E così Bologna si rivela un crocevia dell’amatissima cultura underground del fumetto. Chi la conosce bene, Bologna, lo sa. La trama delle relazioni tra le “nuvole parlanti” e la città dei portici e delle osterie è fitta.

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Tutto iniziò già a metà anni ’60, quando nel capoluogo emiliano inizia a stabilirsi un’importante generazione di fumettisti, ponendo le basi per un processo ancora oggi in corso. Nel 1964, Bompiani pubblica “Apocalittici e integrati”: Umberto Eco, professore di semiotica dell’ateneo bolognese, applica a Superman e Charlie Brown gli strumenti rigorosi di indagine della “cultura alta”, spianando la strada a quanti di lì in poi avrebbero condotto corsi e seminari di storia ed estetica del fumetto. Questo è un punto fondamentale per comprendere il radicarsi della cultura del fumetto: non solo molti autori hanno deciso di assumere Bologna come riferimento; è stata anche Bologna, rinnovando il suo essere “dotta”, ad esser stata capace di maturare una consapevolezza delle potenzialità espressive e comunicative del fumetto.

Un incontro fortunato, si potrebbe dire, quello tra la città di Bologna e il fumetto. Se non fosse che la fortuna non esiste: ogni cultura nasce da un incontro tra almeno due mondi.

E questa mostra ha il merito di narrare con delicatezza e poesia lo sprigionarsi delle energie creative avvenuto tra i portici di una città che ha saputo accogliere, ma che ha anche osteggiato e marginalizzato. Da Filippo Scozzari a Stefano Ricci, passando per Tuono Pettinato, Silvia Rocchi e Davide Toffolo. Sono ben undici gli artisti intervistati da Lele Marcojanni: le loro parole suggestionano il visitatore in un racconto impressionistico e mai didascalico, che ha spesso il sapore romantico di un’esperienza artistica e di vita unica, ma non priva di difficoltà. “Eravamo qui e non eravamo qui”, “Disegnavo fino alla sera e la notte guidavo l’ambulanza”, “Quando ti affittano una stanza sei un ospite, non un padrone”. Come ogni storia particolare, il mondo con le sue leggi getta la sua ombra lunga e ci parla dei cambiamenti sociali e culturali che conosciamo bene.

È una storia che merita di essere raccontata e conosciuta, quella del fermento artistico del mondo del fumetto bolognese. La mostra è allestita allo Spazio Labò ed è visibile fino al 16 dicembre 2016.