Zouhir e gli altri

Voci e immagini da Aleppo

di Francesca Mannocchi

Zouhir è riuscito a lasciare Aleppo.
Deportato, sottolinea, non evacuato.
Era sul bus verde che da Aleppo est doveva portarlo a Idlib quando il bus è stato fermato “da un gruppo di milizie sciite iraniane – dice – che ci hanno costretto a scendere, hanno minacciato uomini e donne, sparato in aria per terrorizzarci, e hanno giustiziato quattro persone.”

Zouhir invia lunghi messaggi audio, racconta di uomini costretti a stendersi a terra sotto la minaccia delle armi.
Racconta che le milizie sciite hanno rubato loro i soldi, i bagagli, i telefoni.
Racconta di donne scappate, correndo, con i propri figli nascosti tra le coperte, nel rigido inverno siriano.
Zouhir, che una settimana fa ci chiedeva di fare qualcosa per la gente di Aleppo, oggi è al sicuro.
Ma domani?
“Ci portano a Idlib ma questo non significa salvarci, significa forse solo aspettare di ucciderci qui. Non possiamo andare in Turchia, non possiamo tornare a casa. Non siamo salvi, hanno solo spostato geograficamente il problema e il conflitto.”

Malek ha 24 anni, una moglie e un figlio in arrivo tra due mesi.
Hanno aspettato in strada come centinaia di altre persone il loro turno per andare via.
Come centinaia di altre persone hanno acceso fuochi con la poca legna rimasta ad Aleppo.
Come centinaia di altre persone hanno visto svanire la possibilità di partire, quando i miliziani di Jabhat Fateh al-Sham (già fronte al Nusra) hanno dato fuoco ai bus per l’evacuazione dei feriti dai villaggi a maggioranza sciita Foua e Kefraya.

“Voglio andare via” mi scriveva Malek, continuamente, domenica scorsa.
“Death is easy, waiting your death is difficult, waiting unkown future is more difficult”
‘La morte è facile aspettare la propria morte è difficile, aspettare un futuro incerto è ancora più difficile’ ha scritto Malek quando temeva che ai bus dati alle fiamme sarebbe seguita una ritorsione certa.

“Quelli non sono ribelli, quelli sono estremisti, devi dirlo, devi dire che non tutti quelli che combattono il regime vogliono la libertà.
JFS non la vuole, sono pazzi che siano maledetti.”
Oggi Malek e sua moglie sono riusciti a lasciare Aleppo.

Sono ospitati da una famiglia nella campagna a ovest della città. Ma il sollievo della salvezza è passato in poche ore.
“Non ho più casa e non l’ho scelto. Sono stato costretto ad andare via. I soldati l’hanno scelto, i miliziani. Noi no. Io non avevo scelta. O andare o morire.”
Che fai – gli chiedo – che farai?
“Mi sento un codardo – risponde, scrivendo tante volte la parola codardo – perché sono stanco e voglio solo scappare.”