Le Crociate viste dagli arabi

Tre video dell’artista egiziano Shawky, in mostra a Torino, per riflettere sulla storia degli altri

di Laura Filios

Legno, ceramica, vetro di Murano; calati dall’alto con dei fili ben in vista. Odore di sabbia e di sangue, sulle note di un arabo classico che suona come musica per le orecchie e di una musica a tratti tradizionale a tratti elettronica.

Prendere la Storia e farne materia di un’opera d’arte. Da qui è partito l’artista egiziano Wael Shawky (Alessandria, 1971) che ha voluto raccontare le Crociate dal punto di vista degli arabi, facendo rivivere i fatti cruenti di più di mille anni fa nei gesti fluidi di decine di marionette. Il risultato è Cabaret Crusades, una trilogia filmica in mostra fino al 5 febbraio al Castello di Rivoli, a Torino.

Lo spazio della Manica Lunga – nel castello – diventa linea temporale, in cui ripercorrere le vicende di un passato remoto, i cui echi risuonano potentemente famigliari agli occhi di chi osserva la situazione attuale in Medio Oriente.

Vicende scaturite dal delirio onirico-religioso di Papa Urbano II che, nel 1095, da Clermont in Francia, lanciò il suo appello per la riconquista della Terra Santa. “Attualmente ci sono quattro versioni differenti di questo discorso” dice Shawky in un’intervista. Da questa constatazione e dalla presa d’atto degli effetti politico-economici delle Crociate, è nata la sua riflessione sull’idea di manipolazione, di cui le marionette sono la diretta espressione.

Le sceneggiature sono state scritte a partire da fonti medievali islamiche quali Usama Ibn Munqidh e Ibn al-Qalànisi, ma anche e soprattutto dal libro dello storico libanese Amin Maalouf, Le Crociate viste dagli Arabi (1983), il cui titolo racchiude in sé il concetto che “la storia, di fatto, non ha fatti perché può essere raccontata da diversi punti di vista”.

La narrazione inizia con le prime Crociate, dal 1096 al 1099, messe in scena nel primo capitolo, Cabaret Crusades: The Horror Show File (2010). Prosegue con la storia degli eventi tra la Prima e la Seconda Crociata, dal 1099 al 1145, rappresentata in Cabaret Crusades: The Path to Cairo(2012). The Secrets of Karbala (2015) è l’ultimo capitolo della trilogia. In quest’opera ci sono anche scorci della Battaglia di Karbala (680), il principale e tragico evento che portò alla tuttora esistente divisione tra Islam sciita e sunnita. Il racconto termina con la presa di Costantinopoli da parte dei Crociati nel 1204.

I tre video sono stati rispettivamente prodotti in Italia, Francia e Germania, tutti paesi che hanno rappresentato le principali forze dietro le Crociate, anche se, a detta dell’artista, non c’è stata intenzionalità in queste scelte, ma piuttosto a guidarle è stato il destino.

Shawky si è servito di antichi burattini del Settecento provenienti dalla collezione Lupi di Torino per il primo film, mentre per il secondo ha utilizzato marionette in ceramica, realizzate appositamente da artigiani francesi con la tecnica delle statue dei Santi. Lo stesso è successo per il terzo film. La quarta crociata è collegata con i veneziani e le marionette sono state prodotte in vetro di Murano.

Il linguaggio dell’artista è cresciuto con l’esperienza stessa del fare: se nel primo episodio si è affidato a delle marionette già esistenti, per il secondo ha deciso di creare delle nuove figure, nelle quali agli aspetti antropomorfi si fondono con figure tratte dal mondo animale.

Una scelta non meramente estetica ma dal preciso scopo comunicativo: la trasfigurazione permette di lasciar intravedere le diverse sfaccettature dell’uomo, dall’essere razionale fino all’essere brutale. L’apice del lirismo viene sfiorato con le marionette in vetro di Murano. Il materiale vitreo, tra luccichii, tintinni e trasparenze concorre a mostrare ancora di più la complessità della verità storica.

Un’opera seduttiva dal punto di vista visuale: le scenografie, i costumi, la caratterizzazione di ciascuna marionetta, la cura scrupolosa per ogni dettaglio. Un approfondimento storico con anche implicazioni politiche, ma “sottintese”, precisa Shawky, perché per lui l’arte non deve essere propaganda.

Un lavoro in equilibrio tra la meraviglia e la narrazione per dare una forma alla storia araba che, secondo l’artista, non è stata ancora raccontata abbastanza – e non solo in Occidente – da poter costituire materia di studio e quindi punto di vista. “Ogni scena sembra far emergere nello spettatore una nuova domanda”, dice Shawky.

La risposta è vedere quello che le persone hanno fatto nel passato e che cosa stanno facendo nel presente. Il fine non è quello di insegnare ma solo di mostrare. E a chi guarda potrebbe succedere di fare delle connessioni e di tirare le proprie conclusioni, un po’ come con i fili delle marionette.