La pipeline, i Sioux e la loro battaglia

Epocale? Sì. Una vittoria? No. Almeno non completa. E bisogna continuare a vigilare

di Dan Wilberforce, dalla riserva Sioux di Standing Rock, Accampamento di Oceti Sakowin. Nord Dakota, Usa

traduzione a cura di Diletta Salviati

Sono arrivati da molti posti diversi, non hippies o eco-attivisti, come li definirebbe la destra conservatrice, ma banchieri e camerieri, avvocati e soldati, contabili e veterinari, repubblicani e democratici.

Questo è quello che hanno potuto vedere coloro che hanno avuto il privilegio di assistere in prima persona alle imponenti proteste nella riserva di Standing Rock, in Nord Dakota, Stati Uniti d’America.

Una delle più grandi dimostrazioni, solidale, in difesa dell’ambiente e dei diritti; una presa di coscienza collettiva e il rifiuto concreto di lasciare che il passato si ripeta.

Questo movimento, che in varie occasioni si è rivelato difficile da raccontare, è ed è sempre stato,
un movimento estremamente umano, la cui efficacia è dovuta alla determinata dedizione alla protesta non violenta.

Ora, con il freddo invernale che si fa più pungente, in molti se ne stanno andando, ma l’accampamento di Standing Rock rimane. Perché le ragioni delle proteste sono lontane dall’essere superate e, nonostante quello che viene raccontato dai media mainstream e i progressi che ci sono stati, la vittoria non è ancora assicurata.

L’accampamento dei dimostranti di Standing Rock è nato in risposta alla proposta di costruire un oleodotto di quasi 1.200 miglia, la Dakota Acess Pipeline o DAPL, da Bakken Shale in North Dakota all’Illinois.

Il progetto, il cui costo stimato è di 3.8 miliardi di dollari, è stato completato per l’85 per cento e la parte mancante è una sezione il cui passaggio è previsto sotto il lago Oahe, punto di confluenza del fiume Missouri e del fiume Cannoball, appena mezzo miglio a monte dal confine della riserva indiana Sioux di Standing Rock.

Scopo del progetto, di proprietà della Energy Transfer Partners, è di trasportare petrolio per l’esportazione. Da notare che la Energy Transfer Partners è una ditta con una lunga lista di investitori controversi, come il nuovo Presidente eletto Donald Trump e il suo nuovo Segretario di Stato per l’Energia Rick Perry.

L’oleodotto non attraverserebbe direttamente i territori della tribù dei Sioux, ma territori federali, acquisiti con trattati stipulati durante “l’incontro coloniale”, un processo il cui scopo ultimo era quello di trasformare le terre degli indigeni, attraverso ripetute e fittizie abrogazioni legali, in terre di nessuno.

Il Trattato di Fort Laramie del 1851 è frequentemente indicato come la base delle rivendicazioni della tribù. Infatti il trattato riconosce l’area dove oggi viene costruita l’oleodotto come territorio Sioux.

L’opposizione dei Sioux di Standing Rock è motivata dal fatto che la costruzione dell’oloeodotto mette a rischio non solo le riserve d’acqua della tribù, ma anche il benessere fisico ed economico dei suoi membri.

Inoltre, i Sioux sostengono anche che l’oleodotto mette a repentaglio terre ancestrali: aree di enorme valore culturale, che la legge federale dovrebbe tutelare. La denuncia depositata dalla Nazione Sioux sostiene anche che i permessi iniziali, emessi da U.S. Army Corps of Engineers (l’agenzia di ingegneria dell’esercito Usa) ossia l’agenzia federale che controlla le operazioni sull’area in questione, violino diverse norme federali, inclusi il Clean Water Act (che regola l’inquinamento delle acque), il National Historic Protection Act (per la conservazione di siti di valenza storica e archeologica) e il National Environmental Policy Act (per la protezione dell’ambiente).

I permessi, secondo i dimostranti, sono stati rilasciati con una procedura d’urgenza che, di fatto, ha permesso ai costruttori di aggirare accertamenti pubblici e ambientali. Ciò nonostante, per costruire sotto il lago Oahe, la compagnia petrolifera necessita di permessi più complessi in quanto i terreni attorno al lago sono di proprietá del governo federale. Sono questi i permessi che, il 4 Dicembre 2016, gli U.S. Army Corps of Engineers, attraverso una direttiva emanata dall’amministrazione Obama, hanno negato promettendo anche di effettuare la procedura di Environmental Impact Statement (uno studio previsto dal National Environmental Policy Act volto a valutare l’impatto di determinate operazioni sulla qualitá dell’ambiente) per tragitti alternativi per l’oleodotto.

Nonostante sia stato intimato di bloccare i lavori, per lo meno mentre altre opzioni vengono valutate, la costruzione dell’oleodotto prosegue, senza permesso, e la compagnia petrolifera paga semplicemente una penale di 50mila dollari al giorno, una sanzione la cui severità chiaramente non è sufficente per preoccupare la compagnia, per la quale uno stop dei lavori potrebbe avere conseguenze ben più gravi dal punto di vista dei finanziamenti per la costruzione.

La Energy Transfer Partners ha infatti dichiarato che è assolutamente “determinata a portare a termine questo progetto vitale” e che “si aspetta di completare la costruzione dell’oleodotto senza nessuna deviazione del percorso”.

Il rischio è che il decreto restrittivo di dicembre scorso sia stato un modo di prendere tempo, rimandando qualsiasi decisione definitiva all’insediamento di Trump.

Nessuno può dire come sarebbe finita, senza la determinazione dei dimostranti, che hanno attirato i media dove prima spadroneggiavano – con tutti i mezzi – le agenzie di sicurezza private.

Cani da guardia hanno attaccato dimostranti disarmati e pacifici. Proiettili di gomma e granate assordanti sono state utilizzate in numerose occasioni. Non che con l’arrivo delle forze dell’ordine le cose siano andate meglio. Cannoni ad acqua sono stati utilizzati nonostante il clima gelido, con vari casi di ipotermia come risultato. Lesioni traumatiche, causate dalle forze dell’ordine, non sono mancate.

Il caso più grave è quello della ventunenne Sophia Wilansky, ferita in maniera grave, mentre distribuiva acqua ai manifestanti, dagli uomini dello sceriffo di Morton County. Sophia ha subito l’amputazione del braccio sinistro a causa delle ferite riportate.

Black Cloud, un residente di Standing Rock, è uno degli organizzatori dell’accampamento. In quanto membro “originario” del movimento ha assistito in prima persona a molti degli scontri con le forze dell’ordine.

L’ho incontrato mentre rimproverava una reporter della CNN, chiedendole di essere fedele alla realtà e a quello che vedeva, senza cedere a titoli allarmistici. Più tardi, Black Cloud ha raccontato di come varie volte anche media rispettabili abbiano scritto articoli “impresentabili” sulla vicenda, criminalizzando il movimento di protesta.

Black Cloud mi ha parlato anche del lento genocidio del suo popolo, perpetrato dalla cultura americana bianca, di scuole dove i Sioux venivano picchiati dagli insegnanti quando parlavano la loro lingua.

“Questo movimento ha a che fare con il ritrovamento della propria voce da parte del popolo indigeno americano, tanto quanto ha a che fare con la protezione dell’acqua. Questo è il nostro modo di dire: mai più!”.

Black Cloud ha raccontato anche di come il rischio di fuoriuscite di petrolio fosse più alto vicino a Bismarck, la più grande città vicina, e il sito identificato originariamente per il passaggio dell’oleodotto, e come per questo motivo era stato deciso di spostare l’oleodotto piu a sud, dove il rischio di una fuorisciuta era ritenuto più accettabile, ossia nei territori della riserva.

Cloud sottolinea l’importanza della natura non violenta dell’accampamento, che ha garantito la sopravvivenza della protesta, nonostante la presenza a suo dire di “infiltrati e agitatori, uno addirittura trovato con un fucile e munizioni, per provocare disordini che potessero legittimare la chiusura dell’accampamento stesso”.

Anche Capo Black Spotted Horse, della tribù degli Yankton del South Dakota, ha sottolineato l’importanza dell’esperienza di Standing Rock all’interno della narrativa dei indigeni, che ha acquisito un valore molto più ampio di quello di un oleodotto.

“Questo oleodotto rappresenta la battaglia tra il bene e il male. Qui noi combattiamo l’avidità, quell’avidità che non rispetta la Terra e che porterà alla sua distruzione, e anche alla nostra. Non stimo dicendo ‘ridateci la terra perché è nostra’. Stiamo dicendo ‘l’umanitá sta soffrendo per la separazione della Terra e vi vogliamo mostrare come aggiustare le cose. Non abbiamo piú tanto tempo!.”

Il Capo ha anche parlato dell’importanza del fatto che i nativi americani stiano ritrovando la loro voce. “Quando è arrivato, l’uomo bianco non ha occupato solo le nostre terre ma anche i nostri cuori. Ha buttato fuori l’Indiano dall’Indiano, imponendo la sua religione e la sua politica, le sue leggi e la sua industria. Qui noi stiamo di nuovo a testa alta, reclamando la nostra identitá che era andata perduta molto tempo fa.”

Di fronte a uno dei fuochi comuni per scaldarsi, ho conosciuto Lance, o Capo Four Dancing Buffalo. Abbiamo chiaccherato un po’ e poi mi ha invitato nella sua tenda. Lance, appena quarantenne, è uno dei Capi tribú piu giovani. Ha mostrato il suo copricapo tribale, chiaccherato per un po’ delle cose che si stavano raggiungendo a Standing Rock. Non abbiamo parlato di oleodotto in realtà, ma di quanto, secondo Lance, sia importante che i giovani indigeni stiano ricevendo rispetto dal mondo al di fuori della Riserva, che la loro lotta sia conosciuta, come il loro coraggio e tenacia.

La dipendenza dalle droge e il tasso di suicidi tra gli adolescenti sono gravi problemi all’interno delle Riserve. Secondo Capo Four Standing Buffalo questi problemi sono da imputare ad una crisi di identità e alla povertà, che non è mai stata affrontata dopo il periodo coloniale.

Lance in particolare racconta dell’International Indigenous Youth Council, l’associazione studentesca che ha dato vita all’intero movimento e che, all’inizio, ha usato i social media per attirare l’attenzione della gente su cosa stava succedendo in North Dakota.

“Senza quei ragazzi nulla di tutto questo sarebbe stato possibile. Senza la loro determinazione e il loro approccio con gli anziani (che non sono a loro agio con pubblicità esterna e preferiscono la riservatezza) non sarebbe stato possibile raggiungere i risultati di cui siamo testimoni oggi”.

Thomas Lopez Jr. è uno di questi ragazzi, un membro del Consiglio Internazionale dei Giovani Indigeni. Abbiamo parlato di come sia la vita per un giovane indigeno e delle difficoltà che ha incontrato.
“Per un ragazzo come me, cresciuto in un ambiente domestico tradizionale che pratica attivamente la nostra cultura, crescere è un’esperienza spesso di grande solitudine e isolamento. Può essere molto difficile essere fieri di sé, soprattutto perché intorno a te circolano molte bugie e stereotipi su cosa e chi sei. Molti giovani indigeni percepiscono questa spaccatura, le cicatrici della nostra storia, e questo si riflette nell’abuso di droghe, negli alti tassi di suicicio e in comportamenti anti-sociali che affliggono le nostre comunità. Essere qui a Standing Rock mi ha ricordato di camminare a testa alta, ma anche di tenere alta la testa in nome di tutta la razza umana, e non solo la mia. Ognuno di noi ha una storia ed è indigeno di qualche posto”.

Ora il mondo non guarda piu Standing Rock; la storia d’impatto è un’altra. Ma tutto ciò che ha fatto di Standing Rock una notizia da prima pagina non è finito. C’è stata una perdita di 170mila galloni di petrolio ad appena 150 miglia dall’accampamento.

Questo ha rafforzato la convinzione della nazione Sioux, che non si fida delle promesse.
Gli uomini, le donne e i bambini di Standing Rock vigilano, attorno al fuoco, mentre i tamburi risuonano ancora e i canti “Mni Wiconi” (l’acqua è vita) risuonano ovunque. Nonostante i 15 gradi sotto zero, il morale è ancora alto.