In memoriam della regina della musica gitana

Esma Redžepova, una vita dedicata alla diffusione dell’emancipazione della popolazione rom attraverso la cultura

“… se fossi un balcanico, se fossi un balcone, il balcone balcano” cantava Elio ne “La canzone del I maggio”. Con la fine delle guerre che hanno portato alla dissoluzione della ex Jugoslavia un nuovo spazio si è creato nella cartina europea: un buco nero, sgangherato, esotico, eccentrico, sanguigno e bizzarro. Dove la gente spara in aria con il kalashnikov per dimostrare la sua ilarità e brinda fino a frantumare i bicchieri. Così sono ri-nati i Balcani come un’idea di ferinità, caos e violenza liberatrice. Tutto quello che spaventa ma allo stesso tempo attrae le società europee riversato in un’area del mondo. Poi sono arrivati Goran Bregović ed Emir Kusturica e hanno venduto un brand da esportazione, che in Europa occidentale ha trovato particolari estimatori. In questo blog offriremo alcuni frammenti culturali dallo spazio jugoslavo e post-jugoslavo che hanno poco in comune, se non quello di riuscire sconosciuti a chi in quei luoghi va a cercare i Balcani.

di Francesca Rolandi

C’era una volta una bambina che ebbe un’infanzia felice in una grande famiglia rom, nella Skopje del dopoguerra. La bambina era felice, nonostante la povertà e i pregiudizi, perché si infilava appena poteva nei cinema, inseguiva un sogno, ma soprattutto amava la musica.

Era una passione che le aveva trasmesso il padre invalido – aveva perso una gamba durante i bombardamenti del 1941 –, che si guadagnava da vivere come lustrascarpe e amava raccontare ai figli storie in musica.

Questa è l’immagine che ha raccontato di sé in ogni intervista Esma Redžepova, che i media di tutto il mondo hanno definito “regina della musica gitana” quando hanno dato notizia della sua parte avvenuta nella capitale macedone all’età di 73 anni.

Esma aveva iniziato a cantare da giovanissima e in breve tempo si era trovata a rappresentare la Jugoslavia sia tenendo concerti in ogni angolo della Federazione – sia all’estero.

In particolare con l’ascesa del Movimento dei paesi non allineati, l’establishment le affidò il messaggio di ambasciatrice della multiculturalità e della lotta contro i pregiudizi.

Così nel corso di una carriera durata quasi sei decenni, Esma si trovò ad essere la prima cantante straniera in Afghanistan, ad esibirsi davanti a Saddam Hussein, a cantare con un vestito che riproduceva la bandiera jugoslava, a stabilire un rapporto cordiale con Indira Gandhi, ad essere candidata per il premio Nobel per la Pace, a ricevere premi dall’Unicef e dalla Croce Rossa.

Si è distinta per il suo impegno umanitario e per la sua lotta per l’emancipazione del popolo rom, che ameva descrivere come un popolo cosmopolita, nobile e che godeva del vantaggio morale, unico al mondo, di non avere mai dichiarato guerra a nessuno e di non avere bisogno di nulla di materiale.

Perché, amava sottolineare Redžepova, l’umanità nasce nuda e nuda se ne va.

Nel privato si è fatta sostenitrice dell’adozione, a diverse ondate, di 47 bambini ai quali ha garantito un’istruzione musicale.

Aveva di recente raccontato la sua storia nello spettacolo teatrale Rupe ili kad smo bili nevidljivi [Buchi o di quando siamo invisibili] nel quale aveva portato in scena, oltre a sé stessa e ad attori provenienti da Belgio, Macedonia e Stati Uniti, attori rom che lavoravano nella nettezza urbana e profughi della guerra in Croazia.

La regina della musica gitana aveva vissuto sulla propria pelle i pregiudizi e ricordava spesso quando i suoi compagni di scuola non volevano sedersi al banco accanto a una zingara, avvolta nello scialle donatole dalla Croce Rossa.

Ma aveva anche sfidato i pregiudizi interni alla comunità, sposandone un uomo estraneo e dedicandosi professionalmente alla musica.

Era una sostenitrice dell’idea jugoslava e della Jugoslavia, che paragonò in più interviste all’idea che avrebbe poi rappresentato l’Unione Europa, all’interno della quale si era imposta come pacata paladina dei diritti della popolazione rom.

Era una facciata dietro la quale si nascondeva una questione dolente, quella della marginalità della comunità rom, che anziché ridursi sembrava ampliarsi con l’irruzione della modernità e che il cinema jugoslavo avrebbe portato alla superficie, da Non esistono zingari felici a Il tempo dei gitani, denunciando le promesse tradite di un’emancipazione incompiuta.

Redžepova ha cantato i capisaldi della musica gitana, tra cui quello più famoso Djelem djelem, che proprio dagli anni ’60, e partendo dalla Serbia, si imponeva come inno nel Primo Congresso mondiale rom, tenutosi a Londra nel 1971.

Il testo, composte da Žarko Jovanović e Jan Cibula, fa riferimento secondo molti al Porrajmos, lo sterminio operato sulla popolazione rom dai nazifascismi durante la seconda guerra mondiale.

Una delle eredità più importanti che Redžepova lascia è la sua insistenza sul ruolo emancipatore della cultura e la volontà di rompere lo stereotipo della musica gitana come folklore, istinto e follia estemporanea.