La settimana, in musica

Musica della settimana dal 14 al 21 Gennaio

A cura di Gabriella Ballarini e Juri Bomparola

La visita di Alessandro Ruta

Ogni fine settimana un viaggio della speranza verso un posto disperso, uno tra i tanti, lontano dai Paesi Baschi.
Alessandro Ruta narra una tra le innumerevoli storie straordinarie che sono in verità più che ordinarie, per chi scelta non ha.
Genitori, amori e forse figli percorrono migliaia di chilometri per raggiungere il popolo dei prigionieri baschi, vittima di una diaspora coatta che ha ben poche giustificazioni.
In testa a queste spedizioni si trovano capitani volontari che sposano la solidarietà.
“We’re leaving” dei Devotchka rende omaggio a tutti loro, che possa essere una degna colonna sonora, in attesa del ritorno del proprio caro presso il focolare familiare.
Il tema cantato dagli ottoni è probabilmente più tex-mex che puramente ispanico, il serrato ritmo delle chitarre acustiche è mariachi, ma le parole, quelle sono universali.
Se traslate nel contesto di riferimento danno un senso a quegli stati d’animo.
“It’s a shame, my dear, to be leaving you here”.
Con il sorriso all’andata e il pianto al rientro, “we’re leaving”.
Viviamo tutti di partenze e ritorni.
Alcuni molto più di altri.

Tra i terrapieni di boulevard Ray di Stefano Lorusso

https://www.youtube.com/watch?v=QNJL6nfu__Q



“They don’t care about us”.
Chi è compreso nel pronome “They” è da analizzare, stabilire, condannare.

Di certo le autorità francesi, come quelle di buona parte d’Europa, sono “loro”.

Qualcun altro, senza dubbio e probabilmente in buon numero, rientra nel novero degli irresponsabili rappresentato dall’accusatorio pronome.

Stefano con il suo articolo ci informa che a Parigi c’è chi, vivendo gomito a gomito con queste anime sole e infreddolite, possiede il cuore necessario per spingersi verso un atto di carità e di solidarietà.

Non basta. Non c’è singolo cittadino che possa risolvere un così grande problema.

Ma c’è chi, travolto da quella trincea scavata nel gelo in tempi moderni e di pace, sul suolo parigino afferma: “La speranza regge il mondo”.

Anno 2017: è tempo di rendere umano ciò che non lo è più.
Non siamo noi, singoli cittadini di Italia (e Francia, in questo specifico caso) a poterlo e doverlo fare.
“They”, loro, devono iniziare a prendersi cura della questione.

Potlach Milano esplora via Padova #1 di Giada Mascherin

Ha perso la città, ha perso la comunità. Dice Niccolò Fabi, ma in via Padova no. Almeno non per me e forse nemmeno per Giada Mascherin, che ci racconta una via così affascinante che bisogna viverci per capire che qui non vincono le insegne luminose, perché ce ne sono poche e sono un po’ fluo e poco ingombranti. Parlavo con Sultan l’altro giorno e lui mi ha detto: via Padova è bella perché c’è tutto il mondo. Io non ci devo andare in Cina, i cinesi li incontro sotto casa.

Migranti e necropolitica di Flore Murard-Yovanovitch

Flore Murard-Yovanovitch delinea una narrazione puntuale, raccoglie i pezzi, ricompone l’umanità migrante, congela le immagini e ad un tratto parla di “pelle archivio”. Magnifica intuizione che restituisce dignità ai corpi e alle carni che pulsano e conservano racconti fin dentro al sangue, che scalda e poi si rapprende.
Voglio la pelle splendida, vieni a salvarmi.

“Wallah – Je te jure” raccontato dal regista di Andrea Colasuonno

Jun Miyake e Le Voyageur Solitaire, voce di Arthur H, il Giappone incontra la Francia in questa capriola di suoni che narra di un viaggio, interiore e d’erranza umana. Io sono già arrivato in Paradiso. Ma il canto si fa straziato e incursioni femminili accompagnano una marcia immaginata, una morte che è nell’aria del pentagramma.
Andrea Colasuonno dialoga con il registra Marcello Merletto, ho cercato di cogliere il suono delle parole, come fossimo in quelle rotte e scoprissimo, ognuno per conto tuo: Je sais où est le paradis. E ci accorgessimo che invece…

Cosa prevedono i due referendum sul jobs act di Andrea Iossa

La trasformazione del lavoro, da azione, ad argomento di discussione. Si chiama “act”, ma rimane fermo immobile.
Questa canzone, che unisce l’amore, la lotta e la confusione si trova in un album dal titolo: “Io e te abbiamo perso la bussola” anno 1973. Ho pensato a questo pezzo che si chiama “Il lavoro” non solo per l’evidente collegamento, ma per l’intero album che racconta la vita, di cui il lavoro, è una porzione, una pozione, un’emozione.
Il lavoro? Ancora non so niente.

Mi hanno preso?
Non mi hanno detto niente.

E allora? E allora non lo so.

E allora? Ti ripeto, non so niente,

non so niente, non lo so, non lo so,

non

lo
so.

La matita di Enrico Natoli

Requiem.