Trump e un discorso che non c’è

Il rapporto di potere disegnato dall’insediamento di Trump èin un discorso che usa parole vuote.  Spinge sulla leva della rottura degli schemi – promessa elettorale populista – e sulla chiusura nel nome del patriottismo egoista.

di Angelo Miotto
@angelomiotto

Ecco il discorso integrale di Donald Trump. Ascoltatelo, c’è traduzione in questa versione presa da Sky. Ascoltatelo perché è istruttivo.

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Restituire il potere, la sovranità al popolo. In piena globalizzazione con una forbice fra super ricchi e poveri e quasi poveri che divarica sempre più, c’è un fattore di ‘classe’ che pare essere non solo scomparso, ma ribaltato. Un giro di trecentosessanta gradi per tornare sullo zero, ma da una prospettiva compeltamente diversa.

IL CORTO CIRCUITO

Il ricco, anzi il miliardario che riconsegna le chiavi del potere al popolo è una delle immagini più false che si possa anche solo immaginare e che abbiamo visto in diretta mondiale. Infatti non è così. Il ricco timorato di dio e machista, lo stesso che che diventa l’idolo e uno stile di vita da imitare per chi non può certo permetterselo, è racconto che ben conosciamo. Senza entrare nella logica perversa dell’accomunare storie, fatti e società diversi e diverse, il deficit culturale, di discorso politico a favore della cultura, di un segno forte su questo fronte, è perfettamente riconoscibile. E voluto.

I discorsi che sentiamo nell’egoismo della chiusura dei confini fanno leva su quel mix di sentimenti acidi che vivono della paura. Null’altro, solo paura e la voglia di sentirsi dire che le nostre paure sono giuste e che c’è chi ci difenderà. Parole vuote, che però scatenano un immaginario.

Paura di dover trovare strade alternative, paura di studiare e di mettere insieme cultura, paura di perdere tempo rispetto all’immagine di ricchezza virtuale che viene trasmessa dalle televisioni del mondo, paura del diverso, dell’oltreconfine, della novità, dell’idea che Uomo e Natura siano concetti e vita patrimonio di un’universale umanità.

Vince chi si piega ricurvo, profeta di sventura, trasformando la propia voce in un rauco grido da uccello del malaugurio per poi promettere, giocando sull’emotività e su speranze accese, il trasferimento di sovranità che il popolo ha, o dovrebbe avere, già nelle sue disponibilità. E che ha precise regole. <ma il discorso non c’è, perché è tutto una pura illusione.

Se ci sono i profittatori che spingono su questo limitar del burrone, c’è anche un sistema di voto rappresentativo che mostra la corda, non tanto sulla questione di scuola e di principio, per la quale se la maggioranza dà il proprio voto a un presidente non lo si può scartare perché si fa alfiere di politiche e non valori che stentano a farsi riconoscere diciassette anni dopo il duemila.
Il logoramento è avvenuto nell’utilizzo delle regole del gioco e nella qualità della proposta partitica, questo, ormai, appare evidente al di là del’Oceano così come in Europa. Non mischiamo storie e realtà distinte, ripeterlo è bene, restiamo sui meccanismi di propaganda, sulle proiezioni di chi ha paura e cerca una risposta – arricchita in maniera stucchevole dalla retorica patriottarda. E però questo richiamo esasperante alla Patria e al patriottismo, è la negazione di una spinta perseguita dal commercio e finanza mondiale, certo in nome della ricerca di un settore di investimento interno su cui giocarsi la riuscita di un programma economico e industriale che sulla carta rimane un grande azzardo. I meccanismi e la velocità di condivisione di messaggi, di spostamenti, di una mobilità ricca, oltre a quella disperata che fugge dalle guerre, rende del tutto inutile, se non a fini elettorali, il richiamo alla chiusura delle frontiere e costruzione di muri. O le promesse di protezionismo fondamentalista.

SCIAME

Un bell’articolo di Marco Filoni su pagina 99 ci parla di rete e potere (lo trovate qui) e introduce nel discorso sull’utilizzo dei social il concetto di un filosofo sud-coreano; quello della sciame. Lo sciame non si muove in maniera collettiva per un interesse collettivo; per Byung-Chul Han lo sciame digitale non ha un’anima, non ha uno spirito. Prima, la massa aveva una sua identità, aveva scopi comuni. Oggi invece lo sciame raggruppa individui che non diventano mai un “Noi”, non si esprime mai con una sola voce “Secondo Han – scrive Filoni su Pagina99 – il sentimento che accomuna la gente del web è lo stato di eccitazione: esser eccitati è la norma, il registro della comunicazione è l’emotività, un registro molto più vicino al parlato che non allo scritto. Pure le ondate di indignazione, «efficaci nel mobilitare e nel mantenere desta l’attenzione», scrive Han, «non sono in grado di strutturare un discorso: montano all’improvviso e si disfano altrettanto velocemente»”.

Manca il discorso. Non solo a livello digitale; manca il discorso a maggior ragione nello spezzatino individualistico che è diventato il lavoro contemporaneo, la vita contemporanea. E vince la pancia del ‘muoiano pure i messicani’ perché vivano gli operai dell’automotive Usa. Certo si può criticare nel caso specifico che la delocalizzazione è comunque asservita al capitale. Il che spesso è vero, ma non sposta la questione.

LA DOMANDA

La domanda che pone questo rapporto di potere fra una massa non collettiva incapace di ‘noi’, una avanguardia anche estesa incapace di essere classe dirigente (non dominante) e i falsi profeti della ‘pancia’, riguarda ancora una volta la capacità di una comunità strutturata di fornire strumenti e un percorso pedagogico, un binario per avere i fondamentali necessari per esercitare scelte consapevoli. Accrescere non solo la ricchezza o la sicurezza, ma anche e soprattutto la cultura come elemento di mediazione e di consapevolezza.

Come nel linguaggio l’eccitazione social di cui parla il filosofo sud coreano cerca ormai solo consenso sociale, il percorso da costruire è quello invece di dimostrare che ogni uomo è un cammino di conoscenza che può spostare i nostri orizzonti ben al di là di rigidi confini.

La paura nasce dall’ignoto. E non a caso nelle crisi le paure crescono, quelle sociali, quelle legate alle condizioni economiche, quelle utilizzate per speculare politicamente o finanziariamente. Vale anche in questo ‘momento di forze’ che non si bilanciano, il gioco delle responsabilità. Responsabilità che toccano maggiormente chi le nota e capisce, vede e riflette anche quando non vorrebbe altro che agire di impulso. Ma finirebbe per agire come la ‘pancia’ che si agita negli strati bisognosi di messaggi poveri e promesse decise.

“Dio ci protegge”, dice il nuovo presidente degli Stati Uniti, mentre ‘restituisce’ il potere al popolo. Quella di Trump è una formula vuota, un discorso vuoto e pericoloso, perché nasconde quelle che sono le regole degli affari, del potere personale, di una visione primitiva del potere. Come chiude il tagliente editoriale del britannico The Guardian: “The time for empty talk is over,” said President Trump today. “Now arrives the hour of action.” At home and abroad, and in the light of today’s speech, that is a truly terrifying prospect.