Capelli dappertutto

Il romanzo, opera prima della scrittrice croata Tea Tulić, affronta il difficile tema della malattia terminale

“… se fossi un balcanico, se fossi un balcone, il balcone balcano” cantava Elio ne “La canzone del I maggio”. Con la fine delle guerre che hanno portato alla dissoluzione della ex Jugoslavia un nuovo spazio si è creato nella cartina europea: un buco nero, sgangherato, esotico, eccentrico, sanguigno e bizzarro. Dove la gente spara in aria con il kalashnikov per dimostrare la sua ilarità e brinda fino a frantumare i bicchieri. Così sono ri-nati i Balcani come un’idea di ferinità, caos e violenza liberatrice. Tutto quello che spaventa ma allo stesso tempo attrae le società europee riversato in un’area del mondo. Poi sono arrivati Goran Bregović ed Emir Kusturica e hanno venduto un brand da esportazione, che in Europa occidentale ha trovato particolari estimatori. In questo blog offriremo alcuni frammenti culturali dallo spazio jugoslavo e post-jugoslavo che hanno poco in comune, se non quello di riuscire sconosciuti a chi in quei luoghi va a cercare i Balcani.

di Francesca Rolandi

Capelli dappertutto è un romanzo strutturato a brevi paragrafi che colpisce come un graffio il lettore, proprio grazie ai due elementi attraverso i quali si articola.

Da una parte, ineludibile è la tematica della malattia e della morte della madre, che ritorna nel titolo, quei capelli caduti che richiamano il cancro. Dall’altra, un linguaggio frammentario, infantile e segnato dal gusto per l’assurdo, che descrive il ritmo forsennato della malattia che galoppa.

Tre generazioni di donne, la protagonista e figlia, la madre e la nonna, si intrecciano in una trama priva di eventi esterni ad eccezione del progredire del cancro e del decadimento fisico, al quale cerca di opporsi con tenacia di ferro l’ammalata.

Intorno a loro si muovono una serie di personaggi grotteschi, vicini di casa, dottori, zingare, preti e fantomatici esperti. Sullo sfondo, per cenni, la Fiume – la città umida – della transizione dove gli ospedali non hanno più soldi per i malati gravi e ci si arrabatta, tra il nuovo ruolo della religione cattolica e le nuove e vecchie superstizioni.

Il libro offre una selezione di immagini, caratterizzate da un’attenzione maniacale ai dettagli, che sanno parlare molto chiaro e condurre il lettore al non detto.

Forse proprio per questo, oltre che al gusto per l’humor e il paradosso, il romanzo riesce magistralmente a evitare il senso del patetico e a narrare con leggerezza, tra lacrime e risate, il tema più drammatico che ci sia.

La vicenda narrata del romanzo è autobiografica, traendo ispirazione dalla reale malattia e morte della madre della scrittrice Tea Tulić.

Opera prima, è stata premiato come miglior romanzo scritto da un autore con meno di 36 anni dalla rivista Zarez e dalla casa editrice Algoritam ed è uscito in croato – Kosa posvuda – nel 2011 per la casa editrice Algoritam.

Il merito di averlo reso accessibile al lettore italiano è della casa editrice Mincione Edizioni che si è avvalsa della traduzione di Federico Giulio Sicurella, attenta alle finezze della lingua e alle assonanze interne.

 

La foto di copertina e’ di luca savettiere/fickr, tratta da Osservatorio Balcani Caucaso

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