Sleeping Beauty

La morte per gli induisti non la fine della vita, ma qualcosa che fa parte della vita. Le immagini di due fotografi sulle rive del Gange: gli addii accompagnati da antichi riti

di Matteo de Mayda, da Varanasi, India
Immagini di Indra Kumar Jha e Matteo de Mayda

Indra Kumar Jha, 26 anni, è un fotografo di morti. Vive e lavora a Varanasi, sulle sponde del fiume Gange – il fiume più sacro per l’induismo – dove vengono cremati una media di 300 corpi al giorno. Le salme arrivano da tutta l’India, spesso semplicemente legate con una corda sul tettuccio dell’automobile o del risciò.

Durante la cerimonia di cremazione Indra si propone alle famiglie per scattare un ritratto del loro caro defunto, poi corre a stampare le immagini in un piccolo laboratorio del centro cittadino.

Le foto sono un ricordo indelebile per la famiglia, ma servono anche come certificato di morte e poter, per esempio, prelevare il denaro del defunto.

GUARDA LE FOTO DI INDRA KUMAR JHA E MATTEO DE MAYDA

 
© Indra Kumar Jha e Matteo de Mayda
 © Indra Kumar Jha e Matteo de Mayda
© Indra Kumar Jha e Matteo de Mayda
© Indra Kumar Jha e Matteo de Mayda
© Indra Kumar Jha e Matteo de Mayda
 © Indra Kumar Jha e Matteo de Mayda
© Indra Kumar Jha e Matteo de Mayda
© Indra Kumar Jha e Matteo de Mayda
© Indra Kumar Jha e Matteo de Mayda
 © Indra Kumar Jha e Matteo de Mayda
 © Indra Kumar Jha e Matteo de Mayda
 © Indra Kumar Jha e Matteo de Mayda
 © Indra Kumar Jha e Matteo de Mayda
 © Indra Kumar Jha e Matteo de Mayda
 © Indra Kumar Jha e Matteo de Mayda
 © Indra Kumar Jha e Matteo de Mayda
 © Indra Kumar Jha e Matteo de Mayda
 Matteo de Mayda, a sinistra, e Indra Kumar Jha

A Indra piace il mestiere di fotografo perché non ha un padrone e può guadagnare tra le 1,500 e le 2,500 rupie al giorno (22- 37€).
Quando aveva 17 anni Indra si è comprato una piccola fotocamera compatta e ha cominciato a scattare, senza alcuna formazione precedente. Quello che mi ha affascinato è stata la coerenza del suo corpo di lavoro: a un fotografo professionista servono anni di ricerca e analisi per raggiungere tale precisione. Indra l’ha raggiunta per necessità, non per qualche ambizione artistica e velleitaria. Un po’ come gli “scattini”, i fotografi di strada, presenti in tutte le città italiane più di mezzo secolo fa e che Smargiassi definisce “fotografi senza gloria, sottoproletari dell’obiettivo”.

Nei miei giorni a Varanasi ho cominciato a fotografare Indra durante il lavoro e gli ho chiesto di condividere con me il suo archivio di fotografie per sviluppare un progetto insieme sul suo incredibile mestiere. Indra ha accettato.

Il progetto si compone di una selezione di scatti che ho realizzato a Indra e una piccola parte dell’archivio contenuto nella sua schedina SD. Dopodiché, improvvisando un set di strada, ho deciso di realizzare alcuni still degli oggetti che si utilizzano durante il rito crematorio induista, ognuno dei quali racconta qualcosa in più della persona ritratta.

Con questo progetto ho tentato di non alimentare un senso di “pornografia della morte”, non quella sorta di eccitazione nell’osservare il macabro.

Vorrei invece condividere qualcosa di più vicino al modo di vedere la morte per gli induisti e che mi ha colpito: non la fine della vita, ma qualcosa che fa parte della vita. Gli scatti di Indra per me esprimono proprio questo, non la decadenza del corpo, ma la glorificazione di un momento che fa parte della vita.