Di Mel Gibson, con Andrew Garfield, Teresa Palmer, Hugo Weaving, Rachel Griffiths, Vince Vaughn, Luke Vaughn, Sam Worthington. Nelle sale dal 2 febbraio.
di Irene Merli
Mel Gibson è tornato. Credevamo di averlo perso da un bel pezzo, già da “The Passion” (2004). Invece questo film è potente, a tratti adrealinico, toccante. Scava nell’animo umano e racconta una grande lezione di vita.
La storia è quella di un umilissimo antieroe americano. Desmond Doss, infatti, nel 1942 si arruolò volontario nell’esercito dello Zio Sam come soccorritore medico dei feriti in battaglia. Voleva rimettere insieme i pezzi, in un mondo che stava saltando in aria.
Unica condizione, inconcepibile per quei tempi: non imbracciare mai un fucile, né nessun’altra arma da fuoco, persino in addestramento.
Doss era infatti un avventista del Settimo Giorno, inamovibile nella decisione di non derogare dai suoi principi di non violenza. Mai, neppure con gesto simbolico.
A causa di questa inscalfibile coerenza morale, durante la fase in caserma il giovane Doss verrà umiliato, insultato, punito, tacciato di essere un vigliacco e un peso per i suoi commilitoni, sarà persino portato davanti alla corte marziale pur di costringerlo alle dimissioni dall’esercito.
Arrivato sul campo di battaglia in Giappone, riuscirà a dimostrare di avere un incredibile coraggio, tanto da diventare il primo obiettore di coscienza a ricevere la più alta onorificenza militare del suo Paese.
Ma facciamo un passo indietro. Il film ci fa incontrare Doss bambino, nella piccola città di Lynchburg sui monti della Virginia, dove abita con la sua famiglia: un padre reduce dalla Grande Guerra che gli ha fatto perdere tutti i suoi amici, alcolizzato e violento, una madre avventista forte e generosa, un fratello quasi coetaneo.
E la ragione c’è. Proprio in quegli anni lo vediamo vivere un trauma che lo segnerà per sempre: sarà un atto violento, compiuto da ragazzino, a spingerlo da adulto dalla parte di chi non alza la mano contro un altro uomo, a partecipare alla guerra in prima linea senza alcuna difesa, armato solo di Bibbia, morfina, plasma e cerotti, durante una della battaglie più feroci di tutto il conflitto, sull’isola di Okinawa.
Alla sua unità, appena arrivata in Giappone, era stata ordinata la cattura pressocché impossibile della scogliera di Maeda, nota anche come Hacksaw Ridge. Maeda era un muro di pietra ripido, alto 120 metri, in cima al quale si trovavano nidi fortificati di mitragliatrici, trappole esplosive e centinaia di giapponesi nascosti nelle grotte, pronti a tener fede al giuramento di combattere fino all’ultima goccia di sangue.
Quando al battaglione decimato venne ordinata la ritirata, solo Desmond rimase là sopra e corse avanti e indietro tutta la notte, in continuo pericolo di vita, per trascinare in salvo giù dalla scogliera 75 uomini rimasti gravemente feriti sul campo. Sarebbero stati tutti destinati a morire, se lui non li avesse cercati e salvati uno per uno, con nient’altro che la forza delle sue convinzioni.
Ecco, tutta la prima parte del film è come un prologo teso alla seconda, lunga e serratissima, che racconta per immagini gli orrori bellici senza lasciare quasi nulla all’immaginazione.
Quelle in cui si muovono Doss e i suoi compagni sono scene crude, a tratti crudeli, estremamente realistiche.
Ma è la guerra a essere così, non si può nasconderselo. La violenza è indispensabile alla storia, non risulta mai ingiustificata o compiaciuta. E in mezzo a tali e tante atrocità l’infaticabile opera di Desmond, svolta a tentoni, tra il fango, il sangue, il pericolo delle bombe e i colpi degli inesorabili cecchini giapponesi, risulta incredibilmente commovente.
“Desmond Doss era singolare”, ha dichiarato Mel Gibson. “L’umiltà che ha mantenuto nell’affrontare il suo eroismo è un testamento al coraggio di un uomo. In realtà, a Desmond è stato chiesto per anni il permesso di adattare la sua storia in un film e lui ha ripetutamente rifiutato, insistendo sul fatto che i veri eroi erano quelli sul campo. In un panorama cinematografico invaso da immaginari supereroi, ho pensato che fosse il momento di celebrarne uno vero”.
With compliments, mister Braveheart. Il suo nuovo film è da non perdere. E with compliments anche al suo protagonista, un meraviglioso Andrew Garfield che ha incarnato così bene il personaggio da meritare la candidatura agli Oscar. Vedere per credere. la sua recitazione è impressionante; in questa parte è persino più bravo che in “Silence”, l’ultima opera di Martin Scorsese.