LONG HOUSE – BELGRADO 2017

Nel limbo delle vite sospese

di Nhandan Chirco Rawan, tratto del blog Et l’Europe Alors

Ho visto la Long House a Gennaio – un magazzino abbandonato dietro la stazione ferroviaria di Belgrado, è uno luogo indescrivibile, uscito dall’inferno e dal delirio delle politiche europee di chiusura dei confini.

Non l’inferno dantesco ma uno attuale e realissimo – collocato nel cuore delle nostre città, universo parallelo per persone in fuga e ancora in vita – ma trattate come se fossero sopravvissute per sbaglio, quasi che per il loro statuto non appartenessero pienamente al mondo dei vivi ma avessero una strana prossimità con quello dei morti.

In viaggio hanno perso i diritti civili, poi i diritti soggettivi assoluti e sembrerebbe che per le istituzioni e secondo i populismi dilaganti anche l’umano diritto a sopravvivere non li riguardasse più. Le condizioni di vita a cui normalmente i migranti si trovano esposti rendono il passo tra vita e morte molto breve e scontato.

Ma loro resistono, con coraggio e vitalità ribelle, dirompente, straordinaria.

L’inferno della Long House – a un passo dalla stazione, dal centro, appena girato l’angolo – si stenta a crederlo reale. Si stenta a entrare, si stenta a respirare per il fumo denso di fuochi interni, unico mezzo per contrastare il freddo. Fuori neve e ghiaccio.

Si entra e ci si trova del tutto disorientati, il buio e’ infittito dal fumo, le precezioni arrivano a sprazzi, il respiro si fà corto e si colgono solo ombre ai bagliori di fuochi schermati dall’aria densa. Sento dei lamenti provenienti da punti indefiniti dello spazio, camminando a tentoni percepisco un suolo ingombro di svariati materiali e strutture improvvisate nel tentativo di attenuare il contatto con il suolo gelato.

Nikola mi guida e mi rassicura. Stento a resistere poche decine di minuti all’interno a causa del fumo ma all’esterno il freddo è acutissimo.

Ci sono persone che resistono da mesi in queste condizioni, una notte dopo l’altra un giorno dopo l’altro – dopo una notte al gelo ancora un giorno al gelo e poi un altra notte ancora, per quante volte? Ci fermiamo a parlare con alcuni ragazzi nell’oscurità del magazzino, alla luce di un cellulare, ci fanno domande, cercano di capire se sappiamo dirgli qualcosa che serva a comprendere meglio la situazione.

Ci dicono che devono cercare di essere forti, che il loro dovere è essere forti, che non possono che dirsi di cercare di essere forti. Mi chiedo quale sia il mio dovere allora, cosa posso dirmi io. E mi dico che le politiche che producono questo dovrebbero essere cambiate, subito, del tutto. Che bisogna fare qualcosa.

Flore – che era là a dicembre – parlava di un’era del post-umano. Come ci volessero dividere, categorizzare e poi convincere di questo – che noi siamo più umani di altri – e il risultato è la disumanità che sta contaminando l’Europa e le sue istituzioni. Ma nonostante tutto non potranno mai vincere del tutto – pure nel disagio estremo la long house esplode lo stesso di vita, di persone che si aiutano, a volte di allegria anche se di rado.

Paradossalmente – l’inferno della Long House rappresenta al momento per i migranti a Belgrado il migliore dei mondi possibili.
La Long House è un rifugio da difendere, la Long House ora è di fatto l’unico disperato riparo accessibile, la Long House è restare insieme, la Long House è comuque più sicura dell’isolamento, delle deportazioni, dell’affidarsi alle forze dell’ordine per finire dispersi in zone boscose e deserte lasciati soli a temperature sotto lo zero dove l’ipotermia e il congelamento diventano la realtà dell’ultima frontiera.

Alla Long House il freddo scende sotto zero e manca tutto – dal cibo alle coperte ai medicinali – in queste condizioni anche poco a volte può fare una differenza sostanziale – la differenza fra cedere al freddo e allo stremo e la possibilità di resistere ancora.

La presenza di gruppi auto organizzati e di attivisti indipendenti è quasi l’unica forma di assistenza presente – fondamentale – ci sono solo loro a procurare del cibo e a distribuire pasti caldi ogni giorno. Raccolgono e distribuiscono coperte, guanti, indumenti invernali. Stanno lavorando per allestire un’altra cucina auto organizzata. Si annotano parole in Farsi, Dari, Pasthu.

Saranno nei cortei di protesta contro la chiusura delle frontiere. Ascoltano e fanno pressione sui media. Vengono da Belgrado e da tutta Europa, alcuni sono molto giovani e hanno già esperienza del limbo dei confini, sono stati in Grecia o a Calais, sanno come fare per quanto possibile.

Hanno un appartamento in periferia che serve da campo base, dormono nei sacchi a pelo – dappertutto sul tappeto, per terra e in cucina, escono di notte a turni, la mattina le stanze si svuotano perchè tutti si mettono in azione.

Ringrazio loro per quello che stanno facendo, quelli che si stanno organizzando per unirsi a loro e tutti quelli che hanno partecipato alla raccolta dei fondi per sostenerli – in questo momento ogni contributo è essenziale e necessario. Invito a qualunque forma di sostegno.