Il mattatoio di esseri umani

L’ultimo rapporto di Amnesty International, Human Slaughterhouse, racconta una storia agghiacciante, e da decenni tristemente nota alla popolazione siriana, e accusa il regime siriano di aver commesso crimini contro l’umanità.



di Redazione

“Il carcere militare di Saydnaya è dove lo Stato siriano lentamente massacra i suoi cittadini”.
Comincia così l’ultimo, agghiacciante, rapporto di Amnesty International, sulle torture e le esecuzioni extra giuridiche, circa 13,000 stimate nel periodo 2011-2015, avvenute, per mano del regime siriano, in uno dei suoi luoghi di detenzione più tristemente famosi (oltre 17,700 in tutto dal 2011 al 2015, secondo le stime dello Human Rights Data Analysis Group).

Pochi giorni fa, Al Jazeera riportava la storia di uno degli ex prigionieri del carcere damasceno, e la stessa Amnesty International, insieme ad altre organizzazioni per la difesa dei diritti umani, come Human Rights Watch e l’Alto Commissariato dei Diritti dell’Uomo (OHCHR) da anni regolarmente documentano e denunciano, attraverso il sistema di verifica delle violazioni dei diritti umani, il cosiddetto MRM, i crimini commessi in Siria (i rapporti più recenti sono disponibili qui, qui, qui e qui).

La lettura del rapporto non è affatto facile, come non è stata facile in questi anni né la lettura degli altri rapporti, delle interviste, dei racconti degli attivisti, e dei sopravvissuti, o la visione della mostra fotografica “Nome in Codice: Ceasar” (qui il rapporto sulla credibilità delle fotografie).

Ma sono cose che nessuno di noi può continuare ad ignorare. E, purtroppo, non è nulla che non sia mai stato raccontato, e di cui si possa dire “non sapevamo”.

Uno dei maestri della letteratura siriana, Mustafa Khalife, racconta nel suo capolavoro “La Conchiglia” decenni di inumana reclusione nella ‘Prigione del Deserto’, quella sotto le rovine della vecchia città di Palmyra, della cui distruzione ci addoloriamo, mentre la straziante prigionia della protagonista dell’eccellente “Elogio dell’Odio” è descritta in dettaglio da un altro maestro ed intellettuale siriano, Khaled Khalifa. Nessuna delle esperienze narrate lascia spazio a vita o illusioni.

Se anche si esce vivi fuori dalle carceri, si rimane morti, annientati, dentro.

E’ infatti riga dopo riga, giorno dopo giorno, che si capisce il lento, doloroso e asfissiante annichilimento dell’animo umano, in un sistema crudelmente pianificato, dalla “Heflet al Istiqbal”, la “festa di benvenuto”, la tortura con il copertone, e altri agghiaccianti racconti che fanno dubitare che il male sia tanto banale, o forse sì, è decisamente banale.

Amnesty International scrive che tale trattamento inumano e degradante di esseri umani può essere considerato uno sterminio, inteso come “intentional infliction of conditions of life, inter alia the deprivation of access to food and medicne, calculated to bring about the destruction of part of a population” (Statuto della Corte Penale Internazionale, art 7, comma 2.b).

Nel contesto della Siria, dove sin dall’inizio della rivoluzione, poi ‘violata’ e diventata il pantano di milizie ed interessi locali e internazionali che conosciamo e che abbiamo raccontato su QCodeMagazine in questi anni, è stato il regime siriano ad aver commesso una sostanziosa parte, la maggior parte, delle violazioni e degli attacchi sulla popolazione civile, e relative infrastrutture (senza nulla togliere alle atrocità commesse da tutte le altre parti in conflitto, nessuno escluso, leggere qui e qui), Amnesty International conclude che il sistema di violenze e torture nel carcere di Saydnaya può costiture un crimine contro l’umanità.

D’altronde è uno stesso ex funzionario del carcere a raccontare, in una delle testimonianze raccolte nel rapporto, che “Saydnaya è la fine della vita – la fine dell’umanità”.

Clicca sull’immagine per scaricare e leggere il rapporto di Amnesty International