Prepararsi al peggio

Se non esiste più la verità, resta solo il conflitto.

di Mauro Mercatanti

Ormai funziona così.
Non conta più cosa succede, importa solo l’interpretazione che se ne dà.
Le curve contrapposte hanno sviluppato un loro linguaggio, una loro narrazione, un loro metro di giudizio. E la cattiva notizia è che i linguaggi non sono più comuni, le narrazioni non sono più compatibili e il metro di giudizio non è più unico.
La cosìdetta “post-verità” è solo un modo pittoresco di dire che la verità non esiste più o che comunque non abbiamo più voglia di cercarla insieme.
E se non esiste più la verità, amici miei, aver ragione non serve più a niente.
E quindi perché darsi tanta pena per procurarsi una moneta non più corrente?
Il nuovo conflitto, ormai per certi versi inevitabile se non già in corso, è di tipo civile.
Parliamo infatti di persone appartenenti a una stessa civiltà, quando non addirittura a una stessa comunità, che ormai non si riconoscono più in quanto civiltà e comunità.
Faccio solo un esempio, ma da qui si può agevolmente traslare il discorso su mille altri piani e dipanare il discorso in mille rivoli.
Da una parte abbiamo i “razzisti di merda” dall’altra i “buonisti del cazzo”.
Due curve, due fedi, due appartenenze. E nessuna partita in corso.
Il campo è vuoto, le squadre sono rimaste nello spogliatoio e forse non sono mai neanche arrivate allo stadio. Perché la partita è stata annullata.
Non c’è dunque alcuna speranza che un match, con delle regole condivise e un arbitro autorevole a dirigere e dirimere le controversie, possa risolvere in qualche modo la disputa per poi mandare la gente a casa a guardare la moviola, a leggere la gazza e a cazzeggiare al bar o in ufficio, il girono dopo.
In questi casi la partita, anzi, è d’intralcio.
Le curve vogliono solo abitare lo spazio dell’odio e della delegittimazione reciproca: sfottersi, mandarsi affanculo, lanciare petardi e serrare i ranghi internamente.
Il campo vuoto diventa potenziale terreno di scontro e la tentazione di invaderlo diventa palpabile; la curva scalpita e vuole guadagnare il centro della scena.
Viene quasi voglia di dire “Ok allora, avanti, entrate in campo, affrontatevi e succeda quello che deve succedere”.
E cosa volete che possa mai succedere?
Si chiama e si è sempre chiamata guerra.
Spiacente davvero, ma altri modi per dirlo non ce ne sono.
Una guerra civile, innanzitutto.
Gli ultimi contro i penultimi, i colti contro gli ignoranti, i vecchi contro i giovani, le donne contro gli uomini, i sarcastici contro gli incazzati, i timidi contro gli sbruffoni.
E nessuno – e sottolineo NESSUNO – a dirigere l’incontro.
E tutti – e sottolineo TUTTI (perlomeno quelli con “la lingua allenata a battere il tamburo” – a soffiare sul fuoco.
Perché se passa l’idea che la partita è truccata (e l’idea è passata) il conflitto diventa più spettacolare della partita stessa e tutti lo aspettano anche se non lo dicono, come l’incidente in Formula 1.
Restano quelli che non sono andati allo stadio.
Che sono fuori.
Che si sbattono per futuri scenari possibili e alternativi.
Ma ha sempre fatto più rumore un albero che cade di uno che cresce, e dunque – come sempre – quando prevale la logica dello scontro, prevale la logica del frastuono e il silenzio delle cose che crescono diventa irrilevante.
E quindi vai con le patate bollenti, i Salvini incandescenti, i Trump che suonano, gli indignati permanenti, i Belli Fighi che ridono di noi, i partiti di governo sull’orlo di una crisi di nervi, i giovani che ormai si fanno i cazzi loro e gli anziani che fanno sostanzialmente la stessa cosa. E in tutto questo un fiume carsico di ironia, di distacco, di sarcasmo, di satira, di sberleffo, di disincanto che ormai anziché disinnescare le tensioni, le asseconda e le spinge alle estreme conseguenze.
Con le persone di buona volontà – come sempre – impegnate a costruire e incapaci di prevedere la valanga in arrivo, che travolgerà tutte le impalcature e i lavori in corso.
Quanto ci vorrà perché il peggio diventi tanto meglio?
Quanto tempo abbiamo ancora prima che le curve invadano il campo?
Quanto prima che gli scontri comincino?
Quanto prima che si capisca che queste contraddizioni vengono esasperate proprio per farle esplodere?
Quanto prima che si individuino i mandanti e gli stakeholder di questa operazione?
E quanto – infine – prima che ci si renda conto che se e quando si inizierà a menar le mani per davvero, quelli che sanno usarle senza nessuno scrupolo saranno avvantaggiati rispetto a quelli che le mani non le hanno mai sapute usare, perché magari han paura di fare e di farsi male?

Questo è il quadretto che intravedo all’orizzonte e se lo metto nero su bianco è solo per una la superstizione infantile con cui mi balocco da sempre.
Che se una cosa la prevedo, poi non succede.