L’Europa si è fermata a Tripoli

L’accordo con il governo di Serraj non porterà alcun risultato.
Se non l’ennesimo fallimento per l’Europa

di Lorenzo Bagnoli

La storia dell’Europa degli ultimi due anni è sempre passata da La Valletta. Nel 2015, tra le fortezze erette dai templari nell’isola di Malta, si svolgeva per la prima volta un vertice tra europei e capi di Stato africani. A questi ultimi, alla fine, rimasero in realtà solo le briciole: al termine del Summit, l’UE decise di donare alla Turchia di Erdogan 3 miliardi di euro in cambio del blocco dei migranti siriani in Turchia. Per dieci Paesi africani l’Unione non trovò più di 1,8 miliardi di euro.

È passato un anno da quando quell’accordo Europa-Turchia è entrato in vigore. Ha ridotto di quasi la metà gli arrivi in Grecia e per questo l’Italia ha fatto in modo che lo stesso processo venisse ripetuto per il Mediterraneo Centrale.

La Libia, ora, è il punto debole della scacchiera delle migrazioni.

Gennaio era quasi finito, quando sono iniziate le schermaglie dietro le quinte ai piani alti dell’Unione europea. Il Commissario all’immigrazione Dimitri Avramopoulos sa che la Libia non è la Turchia. A Tripoli comanda Serraj, ma in Cirenaica comanda il generale Haftar, appoggiato dall’Egitto e dalla Russia. Il sud non ha padroni da quando è caduto Gheddafi. Eppure, Federica Mogherini, Lady Pesc, doveva portare a casa il risultato: mettere al sicuro l’Italia da un altro anno di sbarchi record. E per fare questo il passaggio obbligato, dicono a Roma, è un accordo con Tripoli.

Il 3 febbraio a La Valletta si è chiuso il secondo summit sull’immigrazione, a cui hanno partecipato capi di Stato e di governo dell’Europa a 28. Obiettivo: innalzare qualsiasi sorta di muro nel Mediterraneo. Gli sherpa italiani e maltesi (il Paese presidente di turno del semestre europeo) hanno sussurrato con insistenza alle orecchie degli altri potenti d’Europa che il modo migliore per risolvere il problema migranti fosse appaltare il servizio alla Guardia costiera libica.

Poco importa che sia composta da uomini vicini alle milizie, così come poco importa quali siano le loro regole di ingaggio per fermare i migranti.

Dopo anni nell’ombra, ora l’Italia è la guida senza ombra di dubbio delle politiche dell’Europa in materia di immigrazione. Gli accordi con Sudan, Tunisia, Marocco, Algeria. Il quasi monopolio sugli accordi bilaterali. La conferma è che a seguito del summit europeo, l’Italia ha firmato un Memorandum of Understanding con il governo di Serraj, con lo stesso scopo e con un fondo da spendere per metà europeo e per metà italiano. Europol e Frontex, l’agenzia delle polizie europee e del pattugliamento dei confini europei, dialogano con il Nord Africa sempre facendo sponda con l’Italia. E sull’Italia peserà anche il suo fallimento.

Il problema vero è che si conoscerà sempre meno di quello che accade nel Paese. Anche per le missioni delle ong a largo delle coste libiche avvicinarsi sarà sempre più complicato.

Del ministro Marco Minniti si dice che sia preparato e competente. Tutto il contrario di quanto gli addetti ai lavori dicevano di Angelino Alfano, l’attuale numero uno della Farnesina. In realtà Minniti, Alfano e Gentiloni continuano a decidere le politiche italiane allo stesso modo. I tre sono intercambiabili. Il gioco delle tre carte che c’è stato tra il governo Renzi e quello Gentiloni lascia vedere in controluce lo stesso disegno: soldi, tecnologia, uomini e competenze alla Libia in cambio di un muro di navi della Guardia Costiera libica.

Anm, Cei, giudici libici, governo Haftar, ong. Il no al Memorandum of understanding italiano è stato unanime. Un no che si oppone a qualunque politica in tema di immigrazione del dopo Mare Nostrum, l’unica missione che ha davvero inciso in qualche modo sulle rotte dei migranti. Il no è stato giustificato in molti modi. C’è chi ha invocato principi etici, chi l’impossibilità che lo strumento diplomatico tenga. Chiunque dica no ha ragione. Non ha ragione di esistere il “blocco navale” che vuole l’Europa. Non ha ragione di esistere un’intesa per fermare i migranti. Nemmeno una missione “contro i trafficanti di esseri umani”. Non ha nemmeno ragione di esistere qualunque proiezione sul valore mondiale del business del traffico di esseri umani.

Serve solo a creare mostri.

Le procure siciliane, in prima linea nella “guerra agli scafisti”, hanno deciso che fossero le Direzioni distrettuali antimafia le titolari dell’inchiesta. Si è alimentato anche di questo il mito che il traffico di migranti fosse un’operazione da organizzazione criminale. La stima di Europol è che il mercato mondiale del traffico di esseri umani valga tra i 3 e i 6 miliardi di euro.

E sono briciole nel mercato criminale.

Il narcotraffico, argomento scomparso dal dibattito pubblico, vale almeno il triplo. Non esistono Al Capone, tra i trafficanti di uomini. I più ricchi hanno saputo costruirsi delle reti internazionali per nascondere i soldi in qualche conto nei Paesi del Golfo. La creazione del mostro dei trafficanti di uomini è solo l’ennesima scusa per giustificare interventi sulla Libia. Anche perché se il problema fossero i migranti, allora le missioni contro i passeur dovrebbero essere ad Agadez, in Niger, la capitale del traffico di esseri umani. Ma il Niger è troppo a Sud. La cartina dell’Europa, al massimo, arriva fino a Tripoli. Il resto non c’è.

 

La foto in apertura è di Andrea Kunkl