Questa scuola deve chiudere

Ci sono storie che vale la pena raccontare…Una è quella che racconta la chiusura di una scuola di italiano e di un centro interculturale per donne…

di Laura Sferch

Il dove: come tutte le storie ha bisogno di un’ambientazione. Siamo a Cologno Monzese. Vero hinterland milanese. Periferia. Loro, la scuola e il centro, esistono da venticinque anni il primo e da diciotto il secondo.
Da lì ci sono passate in questi anni 5000 persone. Circa. Che vuol dire 5000 storie. Che i numeri sono importanti, ma che se dietro i numeri ci vedi le storie allora i numeri pesano anche di più.
Lì si impara l’italiano ma in ballo non c’è solo questo, c’è il dare parola e il dare voce, il conoscersi reciproco, c’è lo scambiarsi pezzi di mondo. E in quello scambio c’è il lasciare un pezzetto della propria identità, per costruirne una che è molto più della somma delle due. Un meticciamento, parola molto più bella di integrazione, che a me fa venire in mente qualcosa che sparisce dentro un qualcos’altro che lo ingoia.

Lì si impara italiano, ma si cucina anche insieme, ci si scambiano racconti, si organizzano uscite nelle città, si fanno corsi di fotografia, si rende un po’ più facile andare dal dottore o dagli insegnati di tuo figlio quando non hai abbastanza parole per dire. Soprattutto per le donne, che spesso quando arrivano in Italia vivono in totale solitudine chiuse nelle loro case.

Poi succede che un giorno l’amministrazione leghista di Cologno decide che tutto ciò deve finire. E così, molto semplicemente non si mettono più soldi a bilancio. Via.. tutto finito. Nonostante il CPIA (centro provinciale per l’istruzione degli adulti) di Cinisello si fosse reso disponibile a continuare a finanziare il progetto e il tutto fosse quindi a costo zero per l’Amministrazione (che doveva solo lasciare la sede nella quale attualmente la scuola e il centro sono). Niente. I due centri devono chiudere.

E fin qui sarebbe una storia purtroppo come tante. Anzi per raccontarla tutta bisognerebbe dire che la scuola di italiano e il centro donne non sono le uniche vittime: una “riorganizzazione” dei sevizi sta facendo sparire asili nido, servizi di orientamento per i giovani ….Insomma la scuola e il centro sono solo le prove generali…
E invece succede che la gente comincia a muoversi. E a trovarsi. E a dire che non ci sta. E partecipa a un consiglio comunale aperto. In tanti. Tanti studenti della scuola, ma anche tanti cittadini comuni. Studenti che arrivano in un corteo silenzioso, con una benda rossa a chiudergli la bocca. E tanti cartelli.

La chiusura della scuola viene messa all’undicesimo punto dell’ordine del giorno e discussa…alle quattro del mattino. Che non è proprio l’orario più indicato se tu Amministrazione ci tieni a far partecipare…e comunque viene ribadito che la scuola deve chiudere.

Ma la gente continua a trovarsi. E organizza per la sera del 16 marzo una serata pubblica di solidarietà.
C’è sempre la paura, quando si organizzano simili cose, di trovarsi in due gatti, davanti ad un auditorium vuoto. E invece piano piano la gente arriva. Fino a riempire i duecentocinquanta posti dell’auditorium. Tanti ex studenti della scuola, tanti uomini e donne stranieri, alcuni con i loro figli, tanti italiani.

Tanti prendono la parola e raccontano. Molto semplicemente raccontano. Come Faten, tunisina, laureata, che dice che quando arrivi e non sai una parola di colpo ti senti una nullità, o Manal, doppia cittadinanza italo siriana che dice che lei di patrie ne ha due e che le ama entrambe. E che quando vede sua figlia parlare con i suoi compagni e raccontare della Siria è come veder “sciogliere la propria cultura nell’altra”. E a me piace davvero quest’immagine delle culture che si sciolgono una nell’altra attraverso le parole.

In tanti raccontano. Raccontano dei motivi che li hanno portati qui. Della ricerca di un lavoro. Del seguire un amore. Del ricongiungersi a un marito. Della voglia di far crescere i figli in un posto che pensi offra più possibilità. Tanti piccoli grandi umanissimi motivi. Che il viaggiare e il migrare dovrebbe essere reso possibile a tutti.

Senza dover correre il rischio di morire in mare o senza necessariamente dover scappare da una guerra. Che su quello proprio non si discute. (Per la cronaca: sempre la stessa Amministrazione ha rifiutato di accogliere richiedenti asilo sul proprio territorio, nonostante questo fosse a costo zero per l’Amministrazione stessa. Così. Per principio).

A prendere la parola sono soprattutto donne. Colpisce. Colpisce vederle così in tante presenti. Che non è scontato uscire la sera. Portano anche dolci e cibo, in grandi vassoi. Un piccolo banchetto di dolci, vicino a quello dove si raccolgono le firme per chiedere che la scuola e il centro non vengano chiusi.

E’ un piccolo miracolo quello di stasera. Perché qui si racconta un’altra città, diversa dalla narrazione dominante, quella fatta di paura per chi viene qui e ti ruba il lavoro o ti violenta le donne. Quella paura che è un veleno che si sparge nelle città solo per raccogliere voti e consenso.
Un’immagine di città che è di città aperta, in cui in un qualcosa che assomiglia a un cerchio si ascoltano storie, storie comuni. In cui si desidera e si sogna, in cui si comincia a pensare di non essere più divisi in italiani e stranieri. In cui ci si prende cura. Anche di una “piccola” scuola e di un “piccolo” centro sperso nell’Hinterland.

O come direbbe Brecht…

Figlio mio, tieniti unito ai tuoi simili
perché la loro forza si dissolva come polvere.
Tu, figlio mio, e io e tutti i nostri simili
dobbiamo stare uniti e dobbiamo ottenere
che al mondo non ci siano più due specie di uomini.

Per chi volesse far sentire la propria voce contro la chiusura della scuola di italiano e del centro interculturale donne ecco le mail del sindaco Angelo Rocchi e dell’assessora all’istruzione Dania Perego:
sindaco@comune.colognomonzese.mi.it
dperego@comune.colognomonzese.mi.it
La mail del comitato in difesa dei due centri è:
comitato-cologno@googlegroups.com