La vendetta di un uomo tranquillo

Una rapina, un conto da saldare, senza manierismi

La vendetta di un uomo tranquillo, regia di Raúl Arévalo. Con Antonio de la Torre, Luis Callejo, Ruth Díaz, Alicia Rubio, Manolo Solo. Premio Goya 2017 come miglior film, miglior regista esordiente, miglior sceneggiatura originale e miglior attore non protagonista. Premio sezione Orizzonti, Festival di Venezia 2017, a Ruth Dìaz come miglior attrice non protagonista. Nelle sale dal 30 marzo

di Irene Merli

Madrid, otto anni fa. Una rapina in una gioielleria finisce male: si sentono spari, urla, a terra rimangono il proprietario e una giovane donna, con il volto massacrato. Le auto della polizia stanno per arrivare, i ladri scappano a piedi e l’unico a essere preso è l’autista.

Dopo queste brevi, convulse scene, il film passa all’oggi e mostra un bar di periferia, dove José, un uomo che viene da un quartiere madrileno più ricco, passa parecchio tempo. Ha un padre in ospedale, in coma, e cerca distrazione.

A tenere il modesto locale sono Juanjo e la sorella Ana, una giovane donna, madre di un bambino, che sta aspettando il ritorno del marito dal carcere. Curro deve uscire a giorni, dopo molti anni scontati per una rapina di cui non ha rivelato i complici.

José, in realtà, sembra essere attratto da Ana. Poco a poco, con dolcezza e pazienza, riesce a conquistare la sua fiducia e molto di più.

Quando però la porta con il figlio nella sua casa in campagna, perché Curro dà di matto ogni volta che non la trova, la storia prende tutt’altra piega. Ana crede di aver dimenticato il suo cellulare, mentre chi ce l’ha è José, tornato a Madrid per regolare degli affari…

Arévalo, registra al suo primo film e attore, costruisce un thriller teso, cupo, feroce, che cresce in tensione dal primo colpo di scena fino all’ultima inquadratura. Un classico del revenge-movie, calato però nella cultura europea.

Qui lo spettatore non vedrà divi superpalestrati, scazzottamenti acrobatici, lunghi dialoghi di spiegazione: gli stilemi del genere che arrivano da Hollywood e dal Far East sono evitati.

La storia è invece asciutta, subito coinvolgente e inaspettata, i protagonisti sono uomini con un volto normale, non giovani, non bellissimi (tranne Ana, la donna contesa). La violenza c’è, eccome. Ma non è mai estetizzata: scoppia all’improvviso, cruda, realistica, raggelante. Ogni volta senza scampo perché dettata dalla disperazione.

Certo, a parte la straordinaria bravura degli attori (Antonio de La Torre il pubblico italiano l’aveva già visto nell’ottimo La isla minima), colpisce la maturità di un regista al debutto che dimostra un ammirabile capacità di equilibrio tra misura e tensione e forte originalità.

In tutta la prima parte de La vendetta di un uomo tranquillo, si avverte la presenza di una verità taciuta quanto potente, che non ha ancora disinnescato il suo potenziale di devastazione. La cinepresa non si stacca dai volti degli attori. José, il protagonista, è un classico uomo perbene, all’apparenza solitario e riservato, in realtà prigioniero di un segreto soffocante.

La tragedia che vive da troppo tempo in lui, in maniera silenziosa, si svela in maniera progressiva alla nostra comprensione. E a un certo punto, dal plumbeo paesaggio della periferia di Madrid ci si sposta in nella verde provincia di Segovia, dove ha inizio la parte on the road del film, in cui le dinamiche prendono a somigliare a un feroce western.

Tarde para la ira, questo il titolo originale della pellicola di Arévalo, in patria ha avuto molto successo e sia in Spagna che all’estero ha mietuto premi, tutti meritatissimi,. Eppure il regista, anche lui uno dei protagonisti de La Isla minima, ha dovuto aspettare otto anni per trovare il produttore che credesse nel suo progetto, non gli chiedesse di edulcorarlo o di cambiare il team di attori con cui lo voleva realizzare.

Per fortuna alla fine ce l’ha fatta e ha girato un film che tiene incollati alla poltrona dall’inizio alla fine, sorprende e a riesca anche a spiazzare. Congratulaciones, señor Arévalo: il suo debutto ci fa ben sperare.