L’Unione Europea e le minoranze etniche

 

Attraverso l’analisi dei casi studio ungherese, romeno e dei paesi baltici, il volume tocca la questione delle minoranze all’interno di stati ai confini dell’Unione Europea

di Francesca Rolandi

L’Unione Europea e le minoranze etniche, volume scritto e curato da Massimo Congiu e Cristina Carpinelli nell’ambito dell’Osservatorio sociale mitteleuropeo, porta all’attenzione del lettore italiano due aree geografiche che, per motivi linguistici e non solo, sono state finora – pur con meritevoli eccezioni – in gran parte trascurate dalla saggistica italiana.

Il volume, il cui focus sono le minoranze nazionali in territori nei quali sono particolarmente significative nei numeri e nel discorso pubblico, si compone di due sezioni, la prima dedicata a Ungheria e Romania, la seconda ai tre paesi baltici, Estonia, Lettonia e Lituania. Uno dei meriti dell’opera è quello di offrire un panorama lontano dalle semplificazioni,  in grado di restiture la complessità delle aree.

Nella prima sezione, curata da Massimo Congiu, vengono analizzate Romania e Ungheria, due paesi accomunati da profondi legami storici, ma che non sempre siamo abituati a vedere comparati.

Comune a Romania e Ungheria è la presenza di una nutrita minoranza rom che sarebbe stimabile intorno al 10% della popolazione, sovrarappresentata tra le categorie più svantaggiate.

In Ungheria, dove la comunità rom conterebbe fino a 800.000 persone, localizzate in gran parte nel povero Nord-Est del paese, esiste tuttavia un’ampia società civile rom, spaccata tra una linea vicina al governo e una linea di intellettuali di opposizione.

È interessante notare che la prima eurodeputata proveniente dalla comunità rom, Livia Jaroka, è entrata nel Parlamento europeo nel 2004 nelle fila del Partito Fidesz di Viktor Orban.

In Romania è ancora presente l’impronta del tentativo del regime di integrare – spesso forzatamente – la popolazione rom, approcciandola più come un problema sociale che come una comunità a sé. Una situazione che oggi vede una compresenza di situazioni di grande disagio, soprattutto nelle periferie, ma anche di esempi di genuina emancipazione.

Inoltre, come il volume ci ricorda, la Romania deve fare i conti con un’altra grande minoranza, quella ungherese di Transilvania, che rivendica una maggiore autonomia e non è rimasta immune dalle strumentalizzazioni della vicina Ungheria di Orban.

Non più semplice si rivela la geografia nazionale dei tre piccoli paesi baltici, entrati nel 2004 nell’Unione Europea, al centro del saggio di Cristina Carpinelli.

Tutti e tre sono caratterizzati da una minoranza russofona, presente con pesi differenti in ogni paese, eredità dei 45 anni di dominio sovietico, durante i quali erano arrivati lavoratori dal resto dell’URSS in quelli che erano gli avamposti occidentali dell’impero.

Così mentre le posizioni che richiedevano un alto livello di istruzione e specializzazione venivano ricoperte dalla popolazione locale, si creava una classe operaia russofona che solo marginalmente entrava in contatto con le società baltiche. A questo quadro deve essere aggiunta la presenza di una consistente minoranza polacca in Lituania.

Il raggiungimento dell’agognata indipendenza nel 1990 ha portato politiche discriminatorie nei confronti delle minoranze, che si sono trovate prive dei diritti di cittadinanza, spesso all’interno dello status ambiguo di non cittadino, e in uno stato di apartheid rispetto al nucleo della popolazione maggioritaria.

Inscindibile dal burrascoso rapporto con il vicino-occupante russo è per i paesi baltici la relazione con la memoria del recente periodo sovietico.

Ad essere dominante a Tallin, Riga e Vilnius è il paradigma totalitario, basato sull’equiparazione tra comunismo e nazismo, che però – nell’area come altrove – sfocia spesso in una condanna senza mezzi termini di ogni elemento collegato al primo e alla riabilitazione dei regimi collaborazionisti durante la seconda guerra mondiale.

In accordo al concetto chiave dell’occupazione,  il processo di lustrazione è avvenuto in maniera selettiva, quasi interamente a spese dell’elemento russo. Se da una parte gli ultimi anni hanno visto, anche grazie a pressioni europee, un ammorbidimento delle leggi sulla tutela etnica, dall’altra la recrudescenza nello scontro tra Stati Uniti e Russia non ha potuto non riverberarsi sulla vita delle comunità al confine tra le aree di influenza.

Il volume ha il merito di toccare ampiamente il tema delle minoranze attraverso cinque casi studio ai confini dell’Unione Europea, che possono servire come cartine tornasole di alcuni fenomeni di portata più ampia, quali le strumentalizzazione operate dai governi verso i propri cittadini e quelli di altri paesi, i processi di identificazione nazionale, le sovrapposizioni tra categorie sociali e appartenenze nazionali.