Surge afgano

Nuovo piano strategico Usa per l’Afghanistan

di Emanuele Giordana, tratto dal suo blog Great Game

Ci siamo. Anzi, ci risiamo. La guerra afgana torna al centro della politica militare americana con un nuovo piano strategico che, una volta siglato da Trump, riporterà nel Paese asiatico migliaia di nuovi soldati: 3mila secondo il Washington Post, che per primo ha rivelato il piano, fino a 5mila secondo il New York Times e i giornali afgani.

Si aggiungeranno agli 8.400 già sul posto che partecipano in parte alla missione Nato di sostegno all’esercito afgano. E proprio la prossima riunione della Nato a Bruxelles, il 25 maggio, dovrebbe vedere la conferma del nuovo “surge” americano, accompagnata da una richiesta ai partner dell’Alleanza, dunque anche all’Italia, di mettere a disposizione truppe fresche nell’ordine di “migliaia”.

La cosa era nell’aria da mesi, preceduta dalle audizioni al Congresso di alte cariche militari e in particolare del generale John Nicholson che comanda le truppe Nato in Afghanistan e che è fautore dell’aumento di “stivali sul terreno”.

Poi se ne è riparlato quando Trump – in campagna elettorale favorevole al ritiro delle truppe – ha mandato a Kabul il suo consigliere per la sicurezza Herbert Raymond McMaster, un falco che viene dalle forze armate e che, durante Bush, fu uno dei padrini del “surge” – aumento consistente di truppe – in Iraq.

McMaster si era fatto precedere dalla Gbu-43 – Moab (massive ordnance air blast bomb o anche mother of all bombs), un ordigno da 11 tonnellate di esplosivo sganciato alla vigilia della Conferenza di pace sull’Afghanistan organizzata a Mosca dai russi.

McMaster era andato a Kabul per verificare con il presidente Ghani proprio il possibile invio di nuove truppe (cosa cui il governo di Kabul è favorevolissimo) tanto che adesso, i contrari alla nuova operazione hanno ribattezzato il piano: “McMaster’s War”, la guerra di McMaster.

L’esatto numero di soldati americani da inviare, confermano fonti dell’Amministrazione, dipenderà anche dalla disponibilità degli alleati, evidentemente già consultati in merito a un ennesimo sforzo in appoggio alla nuova strategia di Trump. Ma il piano non prevede solo l’invio di soldati.

Il piano prevede che sarà il Pentagono e non la Casa Bianca a decidere sui numeri e anche ad autorizzare raid aerei che, essendo in corso ormai da mesi, aumenteranno probabilmente di numero. Autorizza anche una “mobilità” dei soldati americani che va oltre quanto Obama aveva stabilito a suo tempo quando aveva deciso una lenta uscita di scena dal teatro (salvo poi ripensarci).

Le limitazioni che furono oggetto di polemiche col gabinetto Karzai (che si rifiutò di firmare l’accordo militare voluto da Obama che fu poi siglato da Ghani) dovrebbero dunque cadere e garantire agli americani maggior capacità d’azione senza troppi laccioli nella catena di comando condivisa con gli afgani.

Manca dunque solo la firma del presidente che sta probabilmente facendo i conti (la guerra afgana costa all’erario americano 23 miliardi di dollari l’anno) e sondando la disponibilità degli alleati di una Nato non più ritenuta “obsoleta”.

Trump è probabilmente imbaldanzito da alcuni successi (l’uccisione un mese fa dal capo dello Stato islamico in Afghanistan Abdul Hasib o del capo talebano Akhtar Mansur nel 2016 o ancora dalla super bomba del 13 aprile scorso) ma sembra soprattutto aver dato carta bianca al Pentagono dove il capo della Difesa, Jim Mattis, è tra i fautori della nuova strategia.

L’Onu intanto ha fatto i conti di quanti afgani sono stati costretti dalla guerra a lasciare le loro case nel 2017: sono 88.841. L’anno scorso sono stati 660mila e quest’anno la stima è di 450mila.